Qualche giorno fa, avendole manifestato la mia curiosità e il mio interesse in merito alle giornate di Preghiera Internazionale ed Interreligiosa che si sono svolte quest’anno a Sarajevo, l’amica Virginia Invernizzi mi ha chiesto se, cortesemente, potessi dedicare un articolo all’evento. Senz’altro, si tratta di uno dei temi più interessanti della nostra attualità, funestata – come ha ben descritto Virginia – da scontri, violenze, forme d’intolleranza e di odio che allontanano l’uomo non soltanto dal pieno incontro con la parola di Dio (tanto caro al compianto cardinal Martini) ma, soprattutto, da un orizzonte di pace, di gioia, di condivisione e di fratellanza del quale, invece, si avverte, oggi più che mai, il bisogno.
Per questo, per la seconda volta da quando curo “Sguardi sul mondo”, cedo con piacere la mia rubrica ad una testimonianza esterna: alle parole, ai sogni ed alle riflessioni di Virginia che era a Sarajevo e ha raccontato, assai meglio di quanto non avrei potuto fare io, le emozioni e le atmosfere di giornate indimenticabili.
di Roberto Bertoni
Da Sarajevo le religioni lanciano un appello di pace
di Virginia Invernizzi
In questi giorni in cui il Nordafrica ed il Medioriente vedono manifestazioni di manipoli di estremisti che protestano, a volte anche con la violenza, contro un film che insulta la figura di Mohamed, il Profeta dell’Islam, sembra ingenuo parlare di dialogo fra le religioni. Sembra un esercizio inutile e retorico mentre tornano in auge tesi che videro il loro manifesto nell’articolo La rabbia e l’orgoglio pubblicato sul “Corriere” da Oriana Fallaci il 29 settembre di undici anni fa e si parla di Islam assassino, come se una religione potesse essere assassina di per sé.
Eppure il dialogo continua e le tesi di chi dice che la convivenza è impossibile vengono continuamente confutate da fatti silenziosi e non strillati. Testimonianze che non fanno il rumore di un manipolo che dentro una folla inferocita assalta un’ambasciata e assassina un ambasciatore, ma hanno la voce esile di un cardinale basco novantenne, Roger Etchegaray. Da Sarajevo, città che ben conosce la guerra e la violenza e che lui stesso aveva visitato durante l’assedio, il cardinale ha chiesto di trovare il coraggio di vivere insieme e di costruire, giorno per giorno, la pace.
A Sarajevo, infatti, anche quest’anno si è tenuto l’annuale incontro di Preghiera Internazionale ed Interreligiosa per la pace. Tappa di un pellegrinaggio che, partito da Assisi nel 1986, dove con intuizione profetica Giovanni Paolo II invitò le religioni a incontrarsi ed a pregare vicine per la pace, si è fermato anno dopo anno in molte città d’Europa e del mondo.
Quest’incontro, come i precedenti, non ha evitato di affrontare i problemi: si è parlato di immigrazione, di povertà, di primavera araba, ma lo si è fatto con il confronto e non con le accuse, vedendo gli altri, i diversi, come parte della soluzione e non del problema e ci si è scoperti a vicenda, con reciproca sorpresa. E così si è assistito a gesti straordinari come lo scambio di visite alle rispettive celebrazioni del patriarca ortodosso Ireney e del cardinale Puljich: un segno di riconciliazione, dopo che la guerra aveva identificato le confessioni religiose con le parti in conflitto, gli ortodossi con i serbi e i cattolici con i croati.
Ha sorpreso la riconsegna da parte del Gran Muftì della Bosnia, Mustafa Cerić, del libro sacro dell’Haggadah ebraica al Presidente del gran rabbinato di Israele, dopo che il bibliotecario musulmano di Sarajevo l’aveva salvato due volte dalla distruzione, prima durante la Seconda Guerra Mondiale e poi durante l’ultima Guerra bosniaca: un’attenzione ed un rispetto per i testi sacri di tutte le religioni che il Muftì ha chiesto di vedere applicato al Corano, spesso bruciato da cristiani fondamentalisti.
Ascoltando gli altri si riscoprono valori che si davano per scontati: l’Europa è considerata sinonimo di futuro dai Presidenti della Croazia e della Bosnia Erzegovina, anche se sembra aver perso il senso delle ragioni della sua costituzione. Il Presidente Monti, che ha voluto partecipare all’incontro, nel suo intervento ha affermato che la crisi attuale dell’Europa è causata dalla perdita dei suoi valori fondativi di solidarietà, tolleranza e senso del bene comune, che vanno ripristinati se l’UE vuole tornare ad esser un pilastro di civiltà. A Sarajevo, sono intervenuti tanti rappresentanti delle nazioni europee ed anche il Presidente del Consiglio Europeo, Von Rompuy, che ha sottolineato l’importanza delle religioni e la distinzione che tutti devono fare fra religioni e fondamentalismi. L’Europa non era però l’unico continente presente: c’era l’Africa, rappresentata dal presidente della Costa d’Avorio e da tanti altri leader che hanno portato il loro carico di paure e di speranze; c’era il Nordafrica, con il vice presidente di Ennahda, il partito protagonista della primavera araba in Tunisia, o il rappresentante dell’importante università egiziana di Al-Azhar; c’era l’Asia, con il contributo delle religioni asiatiche (buddisti, ma anche rappresentanti musulmani dell’Indonesia). Sono stati invitati rappresentanti delle religioni profondamente convinti della loro fede, non si è cercata l’immagine irenistica ed accomodante, ma il confronto e la conoscenza hanno prodotto amicizia e portato avanti soluzioni concrete. L’imam di Lahore (Pakistan) sul caso della bambina down cristiana accusata di blasfemiaha detto: “Spero con il cuore e prego Allah che sia fatta giustizia e che i veri colpevoli siano perseguiti. Tutti gli studiosi religiosi del Pakistan e gli esperti di Islam si sono seduti attorno a un tavolo e hanno deliberato che sono contro chi ha accusato Rimsha e sono per una soluzione positiva di questo caso”.
Nella cerimonia conclusiva, gli esponenti di tutte le religioni hanno ascoltato le testimonianze del cardinale Etchegaray, che portò a Sarajevo sotto assedio il messaggio del Papa Giovanni Paolo II, e di Rita Prigmore, donna sinta sopravvissuta al Porrajmos: testi troppo intensi per essere riassunti, ma che possono essere letti integralmente su wwww.santegidio.org Poi l’appello di pace, letto da giovani cristiani, musulmani ed ebrei e consegnato dai leader religiosi ai bambini e dai bambini al mondo, e l’abbraccio di pace, che ha coinvolto tutti i leader religiosi e la piazza, con la speranza che da Sarajevo, città in cui scoppiarono la prima guerra mondiale, con l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, e l’ultima guerra del secolo scorso, si diffonda nel mondo la pace.
Certo, la pace va costruita giorno per giorno, non solo a Sarajevo ma in tutte le città d’Europa e del mondo: è la miglior risposta a tutti i fondamentalismi che, come ha detto papa Benedetto XVI in Libano, “sono una falsificazione delle religioni, per evitare i quali la Chiesa e tutte le religioni devono purificarsi”.
L’anno prossimo la Preghiera Internazionale ed Interreligiosa per la Pace sarà a Roma; nel frattempo il lavoro continua, con feste come quella che si terrà il 23 settembre a Milano, intitolata non a caso “Living Together”.
Certo, il mondo trasmette quotidianamente immagini diverse da quelle di Sarajevo, ma questo non significa che il dialogo abbia fallito o che non sia necessario; al contrario, il confronto e il dialogo sono quanto mai necessari, perché affidare le risposte ai fucili alimenta solo i fondamentalismi.