Il lavoro del giornalista, la sua ricerca, interpretazione e comprensione dei fatti, è quest’anno ancora di più al centro della 18° edizione del Premio Ilaria Alpi, in corso a Riccione dal 6 al 9 settembre. Perché, insieme alla ricerca e richiesta, ennesima, di verità sull’assassinio di Ilaria e Miran, avvenuto a Mogadisco il 20 marzo del 1994, è il suo esempio di giornalista scrupolosa assassinata per questo motivo, ad aver guidato la sua memoria nella formazione di tanti giovani giornalisti che si sono avvicinati al nostro “mestiere” ed al Premio, in questi 18 lunghi anni. “Ilaria.Perchè” è il titolo di questa edizione. Senza punteggiatura e senza punti interrogativi. Sottotitoli, “Raccontare Svelare Capire”, anche in questo caso senza punteggiatura. Il motivo sta nei tanti perché, di domanda e di risposta, che il caso Alpi racchiude ancora in sé: “In questi anni ad alcuni perché abbiamo dato risposta (inchieste giornalistiche, della magistratura, materiali raccolti dalle commissioni parlamentari, testimonianze, etc…)” dice Mariangela Gritta Grainer, portavoce dell’Associazione Ilaria Alpi. Una verità storica, è stata raggiunta, grazie anche alla Memoria di Ilaria che si è conservata ed alimentata negli anni. Così si sono potute dare spiegazioni, continua, ricordando alcuni di questi perché, cui ormai la storia ha consegnato risposte: “Perché si è voluto impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici…venissero portati a conoscenza dell’opinione pubblica. Perché si tratta di traffici illeciti che organizzazioni criminali come la mafia la ‘ndrangheta e la camorra possono gestire ma che possono crescere ed estendere le loro ramificazioni in tutti i territori e in tutti i mercati perché godono di coperture e complicità nelle strutture di potere pubbliche e private.
Perché si sono volute nascondere per sempre. A partire da chi era in Somalia in quei giorni con responsabilità istituzionali militari e di intelligence, italiane e non solo, come più volte è stato denunciato. Per questo “ci sono voluti” in tutti questi anni dolenti, depistaggi occultamenti carte false testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito: il tutto spesso confezionato direttamente e/o con la complicità di parti e strutture dello Stato”. Ma la verità giudiziaria, quella che resta negli annali e che, unica, può ridare Giustizia a Ilaria e Miran, non c’è ancora: e più passa il tempo, più sembra difficile da raggiungere. Perché (ed ecco uno dei perché senza risposta), il processo di Roma che si è aperto per il reato di calunnia contro Ali Rage Ahmed, detto “Gelle”, il principale accusatore di Hashi Omar Hassan, l’unico condannato per l’uccisione di Ilaria e Miran, rischia di finire in prescrizione e di chiudersi in un nulla di fatto nel prossimo mese di ottobre, mentre e’ stata archiviata la posizione di Ali Mohamed Abdi Said, autista dei due colleghi italiani nonché altro teste d’accusa contro Hassan, deceduto senza rivelare alcunchè. Ma Gelle è introvabile da anni, si è fatto vivo solo con due telefonate, una delle quali al suo avvocato, nelle quali accusava degli imprecisati signori italiani, dei Servizi Segreti, d’averlo pagato per accusare Hassan.
Per questo da Riccione in questa 18° edizione del Premio Alpi, si è alzato di nuovo un appello forte direttamente a lui, Ali Rage Ahmed, detto Gelle, affinché si faccia vivo e venga a ripetere a qualunque autorità giudiziaria italiana, la sua verità; anche perché non rischia ormai più nulla, visto che il processo contro di lui si chiuderà, probabilmente, con un nulla di fatto. Di nuovo Verità e Giustizia per Ilaria e Miran, dal palco di Riccione, dove rimbalza l’appello di Luciana Alpi, la mamma di Ilaria che mai ,mai si è rassegnata al vuoto, ai depistaggi, ai silenzi: “la mia speranza si sta spegnendo” ci ha detto alla Conferenza Stampa di presentazione del Premio,”ma non possiamo rassegnarci al silenzio:Intanto si tolga il Segreto di Stato. Ci sono racconti di minacce di morte ad Ilaria. Chi le aveva fatte? Chi aveva scritto queste notizie e chi le ha poi cancellate? Chi ha deciso di non mandare subito a Mogadisco una forza di Polizia investigativa per fare le indagini subito dopo l’assassinio di Ilaria e Miran? Perché il Copasir non riapre il fascicolo e le audizioni dei responsabili dei Servizi Segreti? Il presidente D’Alema ci aveva promesso un suo personale interessamento….”.
Lascia aperta la domanda Luciana Alpi, mentre il suo legale, Domenico D’Amati lancia un appello a Gelle, direttamente dai microfoni del TG3: si faccia vivo, anche presso di lui, parli, dia un filo di speranza perché l’inchiesta non finisca definitivamente senza Giustizia. Intanto a Riccione, quel “Raccontare Svelare Capire” diventa il filo conduttore del Premio per riaffermare che l’inchiesta giornalistica è ,e sarà sempre, l’informazione per eccellenza,sapendo raccontare i fatti con le parole e le immagini, svelando i misteri e scoperchiando le casse di documenti che si vogliono celare nei sempre troppi armadi della vergogna italiani ed internazionali,cercando di capire e di far capire le varie facce dei fatti, le contraddizioni della realtà nella quale viviamo, in Italia e nel mondo. Sono gli insegnamenti della storia di Ilaria e Miran, ma sono anche i “comandamenti” del lavoro svolto per più di 50 anni da Roberto Morrione, dalle prime inchieste in RAI a Libera Informazione, da lui fondato e diretto sino alla prematura scomparsa di un anno fa. E quindi quel filo rosso che lega lo stile giornalistico di Ilaria e Miran a Roberto Morrione, quest’anno viene nuovamente rafforzato con il Premio che a Roberto Morrione è dedicato e che si cala perfettamente nel Premio Alpi, perché è rivolto ai giovani giornalisti che affrontano con le immagini e le telecamere una inchiesta su fatti rilevanti da loro scelti ed affrontati. Ed i finalisti di quest’anno hanno subito messo in luce almeno tre aspetti della nostra vita attuale: la salute sui luoghi di lavoro e di vita quotidiana, gli appalti pubblici con faccendieri e persone “note” alla ribalta, l’economia di lavori che vanno scomparendo, portando con sé anche disoccupazione e una cultura dei mestieri che finisce.
Inizio migliore non poteva esserci per questo premio, ricordando una persona come Roberto, che ha messo la propria esistenza al servizio di una ricerca pulita e profondamente onesta, della ragione d’essere di quanto ci accade e ci circonda. E soprattutto al servizio della lotta alle ingiustizie, al sopruso, alla violenza mafiosa e terroristica con lo strumento principe delle democrazie, cioè la Conoscenza ed il Giornalismo. Giovani e futuro,giornalismo d’inchiesta e ricerca di verità e giustizia. Sono i cardini di questa edizione del Premio Alpi: ma sono anche le fondamenta della nostra vita quotidiana, come giornalisti calati nell’opinione pubblica che ci chiede e ci giudica.