*Quest’intervento, insieme agli altri già pubblicati e in allegato e a quelli che arriveranno nei prossimi giorni, fa parte del forum di Articolo21 aperto dalle riflessioni di Giuseppe Giulietti sul futuro del servizio pubblico.
La rinuncia del PD a designare due membri del CdA RAI non ha risolto il problema. Una nuova legge per rifondare integralmente il servizio pubblico
I nuovi vertici Rai sono stati nominati e si sono messi al lavoro. Hanno già assunto decisioni importanti e deliberato nomine assolutamente rilevanti. Ma sarebbe sbagliato pensare che con l’entrata in funzione della nuova governance sia stato risolto non solo il problema del suo metodo di designazione e investitura ma più complessivamente la questione Rai. Non possiamo metterci il cuore in pace e dormire sonni tranquilli: dobbiamo piuttosto pensare che ci troviamo in presenza di una “governance di emergenza” che anche se comincerà un lavoro di bonifica e risanamento del servizio pubblico non potrà esonerarci dal dovere politico e sindacale di chiedere con forza, di nuovo, una rifondazione “istituzionale” della Rai.
Personalmente perciò alimento la speranza di vedere presto segni di una riconversione profonda del modo di governare il servizio pubblico come preludio ad un intervento del legislatore che ricostruisca la Rai dalle fondamenta. Riprendendo uno slogan di altre stagioni politiche e culturali, potrei dire che mi auguro di poter leggere nelle scelte dei nuovi vertici aziendali un “début”, un nuovo inizio che consenta alla Rai di riconquistare una parte della credibilità perduta come preludio di una metamorfosi che dovrà essere decisa dal nuovo Parlamento. Anche per questo occorre vigilare su programmi e candidature, obbligando tutti i contendenti ad esprimersi chiaramente su quale Rai vogliono per il futuro.
Qualcuno sa che a questa esigenza vitale per la nostra democrazia ho dedicato un intero libro: qui mi permetto di segnalare soltanto alcuni nodi di questa emergenza istituzionale, ricollegandomi all’ampia riflessione pubblicata pochi giorni fa dal nostro portavoce Beppe Giulietti che, analizzando lo stato complessivo dell’azienda in cui si trovano oggi a decidere i nuovi vertici Rai, non ha mancato di evidenziare i punti critici, le fragilità, le distorsioni, le contraddizioni (industriali, editoriali, etiche) che esigono interventi tempestivi ed immediati se si vuol salvare qualcosa che meriti davvero d’esser chiamato “servizio pubblico radiotelevisivo”.
Per semplicità di esposizione mi limiterò a inserirmi nel suo ragionamento per offrire ulteriori spunti di approfondimento alle tante questioni poste dal suo intervento.
1.La nomina della nuova governance ha consegnato ai nuovi vertici RAI l’operatività indispensabile ad affrontare l’emergenza: diciamo pure, con Monti, “per metterla in sicurezza”, cioè per evitarne il tracollo. Ma il Presidente del Consiglio e il suo Governo non hanno potuto (con il rapporto di forze oggi presente in Parlamento) toccare la Legge Gasparri, che invece va al più presto tolta di mezzo per dotare il nostro paese di una legislazione moderna capace di conferire alla Rai effettiva indipendenza dal sistema dei partiti. Il fatto che il PD, con gesto esemplare ma non vincolante, abbia temporaneamente ceduto la sua facoltà di designare due dei membri del CdA ad alcune associazioni non partitiche non sposta il problema: che è quello di sottrarre definitivamente al controllo dei partiti la nomina degli organi di governo dell’azienda. E’ perciò soltanto con una nuova legge che si potrà e si dovrà mettere ordine nel sistema delle comunicazioni del nostro paese e portare effettivamente libertà e pluralismo dentro il servizio pubblico. Vogliamo vedere questo punto fra le priorità del programma di chi si candida a governare il paese dopo le prossime elezioni politiche.
2.Una nuova legge di sistema sarà monca e inutile se non si procederà contestualmente anche a una rifondazione e rilegittimazione di quello che non potrà più essere chiamato “servizio pubblico radiotelevisivo” ma dovrà essere il servizio pubblico “multimediale”, conferendo alla Rai il dovere di una presenza da effettiva protagonista anche su tutte le nuove piattaforme e i nuovi canali della comunicazione (WEB, social network, posta elettronica, editoria elettronica, telefonia digitale audiovisiva, ecc.). Insisto sulla premessa decisiva da cui bisogna partire per ogni serio ragionamento sulla nuova Rai: e cioè sul fatto assolutamente incredibile che, a differenza di quanto accade negli altri paesi avanzati (a cominciare dal Regno Unito con la sua mitica BBC) in Italia non esiste una legge che stabilisca con certezza i compiti istituzionali e irrinunciabili del servizio pubblico e la missione dei suoi diversi canali. Cosa deve fare la Rai e che cosa non deve fare? Qualcuno lo sa? Senza questa esplicita definizione dei suoi compiti sarà inutile ogni riorganizzazione aziendale ed ogni progetto editoriale perché i vincenti di turno, riappropriandosi della Rai dopo questa fase di emergenza, potranno farne quello che vogliono, come è accaduto nel passato (fatta salva l’esigenza del pareggio di bilancio). Faccio un solo esempio per dimostrare che senza una legge esplicita sulla missione culturale e civile della Rai tutto resterà come prima: se il servizio pubblico continuerà a dipendere per la propria sopravvivenza in modo decisivo dalla pubblicità è chiaro che dovrà omologare il prodotto a quello delle tv commerciali, ma in questo modo verrà meno la ragione stessa della sua esistenza.
3.Ecco perché affermo da tempo che la Rai non deve fare la concorrenza ai privati, come non la fanno la scuola pubblica, la sanità pubblica, l’università pubblica, ecc. Semmai sono i privati che si fanno la concorrenza fra loro: stabilite finalità e certezza di risorse, la Rai deve svolgere un servizio. La Rai non ha clienti, ma “utenti” portatori di diritti. Ma quale deve essere il servizio svolto? Questo è tutto da discutere nel nuovo contesto globalizzato che va in direzione di un’omologazione soffocante dell’offerta mediatica: ed è proprio questo che il Parlamento deve decidere, non i nomi dei dirigenti Rai! Del resto, se non viene definita con precisione la “mission” del servizio pubblico, come si deciderà se un dirigente/direttore ha fatto bene oppure no? L’unico criterio sarà ancora l’audience, anche se costatiamo che essa, fatta unica arbitra, insieme alle prevaricazioni della partitocrazia ha progressivamente degradato la qualità dell’offerta Rai?
4.Voglio proporre anche un secondo esempio di confusione che inquina i ragionamenti sulla natura delle reti: a che serve Rai Tre? Qualcuno l’ha mai stabilito con certezza? Al momento della sua nascita ci fu fatto credere che doveva essere la nostra ARD, cioè –per dir così- la nostra rete “federale”, pluricentrica e capace di dar voce al territorio nelle sue diverse articolazioni regionali: fu quasi subito piegata ai giochi della partitocrazia, perché la si utilizzò per giustificare l’orrenda lottizzazione tripartita di cui ancor oggi subiamo le conseguenze. E’ divenuta il parcheggio in cui tollerare certe voci dissonanti dal coro dell’omologazione: ma se il male è l’omologazione, non la si cura creando riserve indiane per dissidenti!
5.Nell’epoca della globalizzazione è ancora possibile immaginare e accettare una Rai chiusa su se stessa in una logica puramente nazionale e regionale? Nel nuovo difficilissimo contesto europeo, con l’affermazione di questa nuova cittadinanza comune (dicono niente le parole Shengen, spread, eurobond, eurogruppo, BCE,ecc ?!) non abbiamo forse bisogno di una Rai che sia in prima fila per attivare finalmente una sinergia con le altre tv pubbliche europee, sia sul piano dell’informazione che in quello della sperimentazione di nuovi formati, nuovi linguaggi, nuove narrazioni dell’immaginario. L’Italia da sola sarà travolta (anche culturalmente!) dalla pre-potenza dei grandi network planetari: pensiamo soltanto alla capacità di penetrazione capillare di Sky o di un’Al Jazeera, pensiamo alla caduta delle frontiere culturali determinata dai satelliti che sta omologando l’opinione pubblica su paradigmi di pensiero, di percezione della realtà, di racconto così diversi da quelli più genuinamente europei. Non è ora di progettare finalmente un TG europeo, alimentato dagli apporti di decine di redazioni nazionali delle tv pubbliche e supportato da una rete di corrispondenti da tutto il mondo in grado di leggere gli eventi con occhi diversi da quelli dei network oggi dominanti? Non potrebbe la Rai candidarsi ad esserne la sede? Non si potrebbe già aprire (magari a Milano e Torino, “città-ponte” che guardano al di là dei confini) questo cantiere informativo creando da subito il TG E(uropeo) e il GR E per informare gli italiani su ciò che accade quotidianamente in tutta Europa e non solo a Bruxelles?
6.Capitolo epurazioni, emarginazioni, mobbing, ecc… Giulietti ha giustamente ricordato che negli anni scorsi sono stati espulsi dai palinsesti Rai non solo autori e giornalisti, ma anche temi e soggetti sociali sgraditi al potere politico dominante (ma anche alla pubblicità, aggiungo io). Nulla di più vero: e dobbiamo anche precisare che in questo modo sono stati chiusi anche molti degli spazi di sperimentazione di nuovi linguaggi, di nuove modalità di narrazione televisiva, di nuovi modelli produttivi che la Rai era stata in grado di generare in passato. Risultato? La Rai è diventata “vecchia”, i suoi linguaggi sono spesso logori e consunti e i suoi format si comprano quasi sempre da società esterne. In breve: la Rai sembra avere smarrito il suo ruolo di principale azienda editoriale audiovisiva del paese e rischia di diventare una finanziaria che si limita a comprare e a mettere in onda prodotti pensati e realizzati altrove: si è materializzata una “mutazione genetica” che l’ha resa quasi indistinguibile dalle tv commerciali. Occorre invertire rotta, tornare a pensare e a creare anche dentro l’azienda. Ma come, se sono stati quasi del tutto azzerati i laboratori ideativi/produttivi interni e contemporaneamente non si sono formati i quadri editoriali interni capaci di creare un programma dall’idea alla produzione, alla messa in onda? Insomma, va ricostruito un vero management non solo amministrativo ma anche creativo-editoriale.
7.Ma come? Per esempio, evitando di procedere a nuove nomine (e sostituzioni) senza prima reintrodurre quell’anagrafe aziendale che dovrebbe fornire ai vertici aziendali un quadro autentico delle storie professionali, dei meriti e delle capacità di ciascuno dei dipendenti. Vorremo sperare che ogni volta che si aprirà una posizione apicale in reti, testate, strutture produttive, ecc. si darà a chi pensa di averne i numeri la possibilità di presentare la propria autocandidatura per essere pubblicamente esaminato.
8.Altrettanto deve valere per gli autori, i programmisti, i registi, che sono stati quasi del tutto riconvertiti a ruoli amministrativi: a quando nuovi concorsi per selezionare i migliori talenti nazionali e immettere nuova linfa nei gangli vitali della Rai? Se i criteri industriali possono valere per l’analisi contabile del bilancio Rai, non si può dimenticare che questa non è un’industria standardizzabile secondo modelli fordisti: ogni puntata di un programma (anche di quelli seriali!) è diversa dalle altre e richiede qualità di altissimo artigianato. Ogni anno centinaia di diplomati portatori di alta qualificazione professionale escono dalle scuole pubbliche di cinema, di fiction, di comunicazione multimediale, dalle accademie musicali e di recitazione, dalle Università, dal Centro Sperimentale di Cinematografia: perché per queste categorie non si creano corsie preferenziali di accesso alla Rai (anche solo per le collaborazioni esterne) mediante una selezione dei migliori così che il servizio pubblico possa avvalersene nei propri laboratori ideativi e produttivi?
9.Il principio di responsabilità. Viene anche da chiedersi se i responsabili delle discriminazioni di decine e decine di giornalisti, autori, modelli narrativi e produttivi che sono stati per anni censurati possano restare impunemente al loro posto. Non esiste un Codice Etico che obbliga chi occupa un posto di responsabilità a valorizzare al massimo le risorse che l’azienda gli mette a disposizione e che sono pagate dai soldi dei contribuenti?
Può permettersi un dirigente di tenere in panchina (anche per anni!) un giornalista, un autore, un tecnico, un impiegato, mentre magari apre contratti con collaboratori e/o società esterne, senza essere considerato responsabile, anche pecuniariamente, di quello spreco? La discriminazione professionale non ha solo l’effetto di impoverire il prodotto Rai: ha anche un costo economico!
10.Il rapporto con i fornitori esterni di prodotti editoriali e la perdita del know how aziendale. Il ricorso massiccio agli appalti esterni ha nei fatti delegato alle società fornitrici la gestione del mercato del lavoro, perché sono queste ad avere voce in capitolo molto spesso non solo nella scelta dei collaboratori delle redazioni, ma anche di altre figure altrettanto importanti (operatori, montatori, fonici, costumisti, scenografi, organizzatori, registi, ecc.) In questo modo la Rai finanzia la formazione professionale di personale del quale però sistematicamente si priva, quando invece quel know how dovrebbe entrare a far parte del suo patrimonio.
11.Infine (e ci tengo davvero molto!): non sarebbe ora che nascesse un canale Rai specificamente dedicato ai quattro milioni di immigrati che si trovano stabilmente sul territorio italiano (pagando le tasse e le imposte come tutti noi)? Non dovrebbe il servizio pubblico tessere un proficuo rapporto con i loro figli, che sono nei fatti cittadini di questo nostro paese anche se le pigrizie del Parlamento disattendono da troppi anni i moniti del Presidente Napolitano che rivendica per loro la piena titolarità di tutti i diritti? Non spetta al servizio pubblico lavorare per la piena integrazione di questi milioni di uomini e di donne che sono entrati a far parte del nostro comune destino? Se nascesse questa rete, chiederei immediatamente di poter lavorare al servizio di questo progetto.
*Quest’intervento, insieme agli altri già pubblicati e in allegato e a quelli che arriveranno nei prossimi giorni, fa parte del forum di Articolo21 aperto dalle riflessioni di Giuseppe Giulietti sul futuro del servizio pubblico.