di Roberto Bertoni
Penso a Carlo Maria Martini, alla sua fede autentica, alla luce riflessa nei suoi occhi e alla speranza che ci trasmetteva ogni giorno con le sue riflessioni pacate e serene, con la sua calma, con il suo crescente avvicinarsi a Dio, negli anni della vecchiaia e di un Parkinson che ne aveva minato il fisico lasciando, però, perfettamente intatta la sua mente straordinaria.
Penso alle sue aperture, al suo coraggio, alla sua capacità di dialogare con le altre religioni, con gli atei, con chi in questi anni si è allontanato dalla Chiesa, rifiutandone alcune scelte e alcune ingerenze, gli scandali che l’hanno travolta di recente e certe ipocrisie che il cardinal Martini non ha mai smesso di denunciare, e mi domando quanti valori siano andati perduti in questa nostra società senza princìpi etici, senza speranza, senza sogni, senza pensieri in grado di elevare l’uomo e di rimetterlo al centro di un progetto più ampio del semplice agire quotidiano.
Penso alla spiritualità contenuta nelle sue parole, ricche di una limpidezza cristallina, capaci di andare oltre i dogmi e le imposizioni di una morale troppo spesso lontana dall’autentico messaggio di Cristo, e osservo davanti a me le immagini di questo nostro tempo privo di dialogo, di ascolto, di condivisione reciproca, di solidarietà, caratterizzato esclusivamente da opposte tifoserie che si odiano e si fronteggiano a colpi di insulti, di slogan privi di senso, di una mancanza assoluta di passione sincera e di volontà di tendere la mano anche a chi la pensa diversamente o ci critica o mette in dubbio la nostra buona fede.
E, infine, penso alla sua città d’adozione, a quella Milano garbata e silenziosa che gli ha voluto rendere omaggio nei giorni in cui la salma è stata esposta nel Duomo, prima delle esequie. Rivedo quella piazza gremita nel giorno dei funerali e mi soffermo sui volti, sugli sguardi, sulla profonda commozione di una comunità che nel cardinal Martini aveva trovato un punto di riferimento, mentre la politica ammainava colpevolmente le proprie bandiere, la Chiesa si chiudeva in se stessa e la fede autentica, con al centro l’uomo e il suo percorso di vita, sembrava essere ormai diventata più materia da dotto convegno teologico che bussola in grado di riorientare un mondo, e un Paese come il nostro in particolare, privo di esempi e di modelli positivi da seguire.
Molti commentatori si sono giustamente soffermati sul lasso di tempo (1979-2002) nel quale è stato a capo della Diocesi più importante d’Italia, scandendo con una certa tristezza eventi come la nascita della “Milano da bere”, con la conseguente scomparsa di quella sobrietà ambrosiana che oggi sembra essere tornata in auge con il nuovo corso politico della città, il dramma di Tangentopoli, l’ascesa di Berlusconi e della Lega e, adesso, il crollo delle illusioni di questo trentennio di cartapesta, fondato sul nulla e destinato a lasciare nella storia un vuoto incolmabile, un senso di precarietà collettiva e globale che purtroppo segnerà il destino di almeno tre generazioni.
Personalmente, invece, proprio perché so che Martini era un fiero avversario di questo degrado apparentemente irrefrenabile, preferisco concentrarmi su un aspetto meno sottolineato ma non per questo meno importante della sua complessa personalità: la coltivazione del dubbio.
Carlo Maria Martini, infatti, non è stato solo un pastore in grado di condurre le anime verso un approdo sicuro; è stato soprattutto un uomo capace di interrogarsi sull’essenza di Dio e sul significato delle prove cui il Signore ci sottopone quotidianamente, chiedendosi se avesse ancora un senso la fede e rafforzandola nel corso di una ricerca interiore senza eguali per intensità e raffinatezza, in un crescendo di intimità e meditazione che lo indusse a trascorrere diversi anni a Gerusalemme e che, di sicuro, gli è stata di conforto nella fase più acuta e devastante della malattia.
Ora che non c’è più, e non potrà più guidarci con la sua dolce intransigenza, possiamo affermare senza retorica che il cardinal Martini abbia incarnato una precisa idea del rapporto dell’uomo (sia del credente che del non credente) con Dio. Nei suoi scritti, come del resto nelle sue azioni, si coglie difatti la bellezza di Dio intesa come un messaggio d’amore e di condivisione, di coinvolgimento del prossimo e di capacità di guardarlo in viso senza l’alterigia propria dei superbi e di chi ritiene di possedere sempre la verità rivelata.
Per questo, per commemorare come merita questa figura così umile e, al tempo stesso, così grande, mi affido ad un passo del testo che conclude la raccolta di omelie “Colti da stupore” (che uscirà il prossimo 12 settembre) e che rivolge un messaggio particolarmente significativo anche alla politica: “Vi sono dunque due accezioni del «camminare a Gerusalemme»: «camminare in Gerusalemme» o «camminare verso Gerusalemme».
In entrambi i casi ciascuno porta con sé il proprio particulare (o particolarismo), che però non contrasta per nulla con l’universalismo che tutti chiama e tutti coinvolge. Anzi, nel fare un cammino insieme si ritrova l’equilibrio fra questi due momenti. Si cammina dunque insieme a Gerusalemme e insieme si va verso Gerusalemme. Ma vi sono nei Libri sacri alcuni testi che sembrano dire qualcosa di un po’ nuovo: non siamo noi a camminare verso Gerusalemme, quasi a conquistarla, ma è essa stessa che ci viene incontro, che ci raggiunge e ci coinvolge. La nuova Gerusalemme non è un destino individuale. Si costruisce con la forza di Dio a misura delle realizzazioni progressive delle diverse generazioni. La Gerusalemme nuova che scende dall’alto sarà presente sulla terra, ma con la chiara coscienza di venire dal cielo. Il dramma della politica è giustamente il passaggio dalla vitalità di Babilonia a quella della Gerusalemme nuova, della nuova umanità. Quando un tentativo di realizzazione politica rinchiusa in coordinate puramente umane si sgretola, in una certa misura crolla la grande Babilonia. Ma nello stesso tempo scende dal cielo la Gerusalemme nuova, si instaura sulla terra la Gerusalemme celeste. E quando essa sarà completa e gloriosa si mostrerà in tutta la sua pienezza il mistero dell’Eterno tra gli uomini”.