Il prossimo 29 settembre, con inizio alle ore 16.30, si svolgerà presso il Salone Appia Grand Hotel di Formia il convegno intitolato “Mafie in Italia. Quali strategie di contrasto? Un’antimafia della retorica, degli annunci e delle commemorazioni o della denuncia e della proposta?”. Abbiamo incontrato il cancelliere Carlo Lubrano… referente nazionale per la Campania dell’associazione Antonino Caponnetto e coordinatore della giornata.
Dott. Lubrano quanto è importante realizzare una giusta analisi del fenomeno mafioso e, allo stesso tempo, quanto è necessario far conoscere a un pubblico vasto queste deduzioni?
La mafia, anzi le mafie,vanno analizzate soprattutto sul versante delle loro interrelazioni con il potere. Illuminanti sono al riguardo le parole gridate nell’Aula della Corte di Assise di Viterbo nel 1954, dal luogotenente nonché cugino di Salvatore Giuliano, Gaspare Pisciotta: “Siamo un corpo solo: banditi, polizia e mafia, come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo” ( la citazione è tratta da A.Caponnetto “ Il potere della mafia” in G.Neppi Modana (a cura di). Cinquant’anni di Repubblica Italiana.Einaudi,Torino,1986,pag.163 ).
C’è una strettissima correlazione,quindi,fra mafia e potere,un potere che le mafie estrinsecano attraverso quattro componenti, la “sovranità” che la mafia realizza anche con la violenza,il “consenso sociale”, l’”accumulazione economica e l’impiego imprenditoriale dei capitali acquisiti illegalmente”, il “peso politico”. La potenza delle mafie deriva, oltreché dall’enorme accumulazione economica che esse realizzano quotidianamente, dal suo “peso politico” e dai loro rapporti organici con parti importanti della politica e delle stesse istituzioni.
Il passo successivo, però, dev’essere rappresentato da una seria ed equilibrata azione sociale. Qual è il suo pensiero in merito?
E’ necessaria una presa di coscienza da parte della società civile della gravità del fenomeno che sta quasi mettendo a rischio le sorti del nostro Stato di diritto e, poi, con una sorta di ecologia della politica. Ciò perchè fino a quando continueremo ad avere nei partiti, nelle professioni, nello stesso Parlamento, per non parlare dei vari ambiti istituzionali, uomini e donne legati direttamente od indirettamente alle organizzazioni mafiose, la guerra sarà sempre fra eserciti impari.
Quindi lei opterebbe per un’azione dall’alto?
Il problema “mafie” è un problema tutto e solamente “politico”. A supporto di tale mio assunto, le cito un esempio pratico: la Magistratura campana, dopo aver accertato il collegamento strettissimo fra noti esponenti della politica ed organizzazioni malavitose, ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione alla custodia cautelare di quei soggetti, ottenendo, però, una risposta negativa che ha vanificato gli sforzi della magistratura. E’ un grosso errore, quindi, illudersi, come giustamente lamentava anche Paolo Borsellino, che ,accollando tutto il peso della lotta alle mafie solamente sulle spalle di magistratura e forze dell’ordine, si possa risolvere il problema, come si è risolto con il fenomeno delle Brigate Rosse che non godevano del sostegno della politica.
Ma è la società civile che deve fare scelte oculate e lungimiranti.
Come giudica i risultati del cosiddetto “modello Caserta”?
Il “modello Caserta” , alla prova dei fatti, é risultato estremamente valido in quanto ha realizzato quella fusione delle forze dello Stato in campo (interforze-Dia-Magistratura) che ha prodotto risultati eccezionali con la cattura di tutti i boss. Restano chiaramente le sovrastrutture “alte”, i livelli “alti”… E qui il discorso investe la politica, perché quando la magistratura partenopea formula al Parlamento la richiesta di custodia cautelare per questo o quel parlamentare e si vede negare quell’autorizzazione, il discorso diventa tutto e solamente politico.
Adesso nella periferia nord di Napoli, nel rione di Scampia è scoppiata una nuova faida. In questo caso in che modo si dovrebbe intervenire?
Per fronteggiare la situazione occorre applicare anche a Napoli il cosiddetto “modello Caserta”, ma anche qua le decisioni toccano ai vertici istituzionali e politici perché, quando c’é la frammentazione delle inchieste e la mano destra non sa quello che fa la sinistra , i risultati sono sempre scarsi, anche mobilitando l’esercito. L’Associazione Caponnetto ha chiesto al riguardo la presenza a Scampia dei Ministri Severino e Cancellieri proprio per studiare tutti quanti insieme -istituzioni, associazionismo antimafia ecc- le misure più adeguate.
Quando i sicari della camorra hanno sparato nelle scorse settimane, per ben due volte, nel basso Lazio, in tanti si sono sorpresi per l’infiltrazione camorristica avvenuta anche in questi territori. Eppure non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Siamo ancora in presenza di un Paese che vuole considerare il problema mafie come semplice espressione geografica?
Quando si parla di mafie nel Lazio, bisogna tenere presente che il processo di inserimento delle organizzazioni criminali risale ai tempi in cui, vuoi per i piani di sviluppo della vecchia Cassa per il Mezzogiorno vuoi per i progetti di sviluppo comunali, comprensoriali o regionali, si sono create le condizioni per l’immissione nell’impianto economico laziale di montagne di capitali di origine illecita. Diciamo la verità : la colpa è anche delle istituzioni, che, o per distrazione,o per impreparazione, o per altri motivi, non hanno saputo –e talvolta voluto – contrastare il fenomeno.
Ma i mafiosi nel Lazio non vengono solamente dalla Campania, dalla Calabria, dalla Sicilia, le regioni storiche di insediamento, ma anche dal tessuto locale. Ci sono mafiosi,o soggetti comunque legati in maniera diretta od indiretta ai mafiosi, nati e cresciuti nel Lazio, come ci sono mafiosi nati e cresciuti a Milano, a Bologna, a Genova o a Pordenone.
Quindi lei ci sta dicendo che anche in queste zone è cresciuta, indipendentemente dalla contaminazione esterna una cultura mafiosa autoctona?
Certamente, a mio sostegno ci sono le inchieste giudiziarie ( anche se non si è proceduto con il 416 bis ), tipo la “Formia Connection” del 2006, le “Damasco” di Fondi del 2008,che provano le relazioni fra soggetti locali ed elementi appartenenti a storiche famiglie mafiose. Quindi, quando si parla di mafie, bisogna parlare di mafie locali, non più provenienti da altre regioni,come è avvenuto negli anni 70-80.
Chi sostiene le mafie in questo territorio?
Mafia, camorra e ‘ndrangheta nel caso per lo più del basso Lazio, operano con il sostegno organico di soggetti locali annidati nei settori economici, delle professioni, e spesso anche politici ed istituzionali. E’ sbagliato, quindi, imputare la responsabilità di un radicamento mafioso nei territori del Lazio e, soprattutto, del Basso Lazio, a soggetti provenienti “da fuori”.
Il giudice Falcone affermava che la guerra alla mafia dev’essere combattuta a Roma. Di quali leggi ha bisogno questo Paese per poter sperare in un sostanziale cambiamento?
Le rispondo con una sola parola: anticorruzione.