Sarà una questione di opinioni, ma, a nostro avviso, dentro il partito islamico tunisino Ennahda si è aperta una guerra di potere che si gioca, come sempre, sul corpo delle donne e sulla minaccia delle sbarre per chi scrive sui giornali. Se non si trattasse di un conflitto interno al movimento islamico, al quale l’attuale leader Gannouchi è riuscito sin qui a garantire una linea moderata e compatibile con i suoi alleati “laici”, sarebbe difficile capire la decisione di una commissione parlamentare di tornare ad esprimersi sui diritti individuali. La legislazione parla chiaro e siccome l’articolo della costituzione che sancisce la parità di tutti i cittadini davanti alla legge è già stato approvato in via definitiva, il voto in commissione del nuovo articolato al riguardo è una flagrante violazione del regolamento. Ma resta il fatto, tutto politico, che la commissione ha votato un nuovo articolo che affiancherebbe quello sulla parità di tutti i cittadini, dicendo che i diritti della donna non sono in discussione perché la donna è complementare all’uomo all’interno della famiglia.
Quella della complementarietà degli individui non è una questione da affrontare con “grettezza occidentale”. Il punto sarebbe proprio della cultura semita ed espresso alla perfezione dalla constatazione che la lingua araba non contempla un vocabolo con il quale si possa esprimere il nostro concetto di individuo. Perché nella cultura semita, e quindi in quella araba, l’individuo si completa nel suo prossimo. Di qui l’uso di chiamarsi padre di tizio o padre di caio.
Il fatto è che non si capisce proprio perché questa complementarietà venga indicata solo per le donne rispetto agli uomini. Vero è che se la donna è completare all’uomo allora pure l’uomo è complementare alla donna, ma perché non indicare la complementarietà genitori-figli, vecchi-giovani e così via? No, posta così la questione palesa un risentimento misogino e maschilista, ben espresso dal resto dell’articolo votato dalla commissione in questione, che indica la donna come “associata all’uomo” nell’impegno per la crescita del Paese.
Questa votazione non definitiva è stata dunque a nostro parere un avviso dei duri di Ennahda a Gannouchi, che aveva fatto votare l’articolo che riconosce la parità uomo-donna.
E che le cose possano stare così lo sembra testimoniare l’altro voto, quello che introdurrebbe nel codice penale il reato di “blasfemia” per l’offesa dei “sacri valori religiosi”. Ecco che accanto alla donna i falchi di Ennahda mettono nel mirino la libera informazione. Gli eterni nemici degli estremismi.