Tante le previsioni relative all’esplosione di un autunno caldissimo per il mondo operaio e sindacale di tutta Italia; nessuno aveva ipotizzato che chi non ha ferie da spendere, né denaro da impiegare in extra rispetto alla stringatissima routine quotidiana non avrebbe aspettato la fine dell’estate per urlare le proprie ragioni.
Così in pieno agosto, uno dei luoghi simbolo dei desideri di evasione di chi lavora tutto l’anno, la Sardegna, non ha soltanto visto sbarcare turisti da navi e aerei, ma ha proposto clamorose anteprime di iniziative di lotta che, non è difficile immaginare, nelle prossime settimane si estenderanno a macchia d’olio anche in molte altre parti d’Italia. L’ultima, la più dura, quella dei minatori della Carbosulcis che hanno occupato i pozzi a trecentsettantatre metri di profondità ed hanno portato con sé sette quinatali di esplosivo. Perché tanta determinazione?
Nel territorio di Nuraxi Figus – provincia di Carbonia-Iglesias, finché non la cancelleranno – esiste un giacimento enorme di carbone. Convegni, progetti, speranze, tutto finalizzato alla costruzione di una centrale elettrica che, trattando il carbone in modo da evitare qualunque forma di inquinamento ambientale derivante dalla lavorazione, sfruttasse quell’importante materia prima e desse all’isola un’importante risorsa energetica a prezzi contenuti. Elemento fondamentale, questo, per mettere le grandi aziende che hanno bisogno di tanta elettricità – ad esempio quelle che lavorano l’alluminio – in condizione di produrre senza costi esorbitanti. Nell’attesa di realizzare questo progetto la speranza era che l’Enel cominciasse a utilizzare nella megacentrale di Portoscuso il carbone estratto nel Sulcis. Invece l’utilizzo che ne fa l’ente elettrico è minimo perché preferisce approvvigionarsi in Cina dove i costi sono nettamente più bassi. Così accade che con la terribile calura di questi giorni, tonnellate di minerale depositate per mesi a cielo aperto subiscano fenomeni di autocombustione.
La protesta dei minatori della Carbosulcis, che sta ottenendo la solidarietà di forze politiche e sindacali – il parlamentare del Pdl ed ex presidente della Regione Mauro Pili, ad esempio, è sceso anche lui con caschetto e tuta ad occupare i pozzi – è scattata in questi giorni perché venerdì prossimo, 31 agosto, del problema si occuperà il Consiglio dei Ministri. Governo che deve affrontare anche un’altra gravissima questione occupativa del Sulcis, quella del futuro dell’Alcoa, dopo che la multinazionale dell’alluminio ha deciso da tempo di abbandonare lo stabilimento di Portovesme e ha preannunciato la progressiva chiusura dell’impianto a partire dal 5 settembre. Gli operai Alcoa hanno deciso di essere a Roma per far sentire la loro presenza durante la discussione a Palazzo Chigi, dopo che nei giorni scorsi avevano attuato due durissime forme di lotta: la prima bloccando gli accessi all’aeroporto di Cagliari-Elmas, la seconda bloccando lo sbarco dalle navi traghetto in arrivo a Cagliari. Con loro anche gli operai dell’Eurallumina, sempre di Portovesme, che da tre anni e mezzo lottano per la difesa del posto di lavoro.
La protesta unitaria degli operai illustra nel migliore dei modi come la necessità di abbattimento del prezzo dell’energia sia strettamente collegata alla possibilità di ridurre i costi produttivi per far ridiventare competitivo sul mercato un alluminio generalmente giudicato il migliore prodotto in tutto il mondo.
Miniere di nuovo occupate, come negli anni ’50, porti e aeroporti bloccati, strade della capitale presidiate. Sembra lontana anni luce la protesta elegante e intelligente degli operai della Vinyls con la loro “Isola dei Cassintegrati” attuata nel supercarcere dell’Asinara per oltre tredici mesi. Tanta esposizione mediatica, nessun risultato concreto. Gli operai non ci hanno messo molto a capire che di questi tempi, con il ritorno sotto varie forme degli antichi “padroni delle ferriere”, serve a poco o a nulla una protesta rivolta più alle intelligenze che alle tasche.
Non aver voluto imparare quella lezione, da parte del padronato, porterà a forme di lotta sempre più dure, così come – anche in vista delle prossime scadenze elettorali – le forze politiche non possono continuare a nascondersi dietro la stanca ripetizione del concetto della necessità di risanare i conti.
Se in attesa del risanamento dei conti sarà stato fatto fuori tutto il sistema industriale italiano, da cosa ripartiremo? Dalle riduzioni del costo della benzina nei fine settimana? Quale sarà il ruolo dell’Italia in un mondo sempre più globalizzato? Quando comincerà una stagione di progetti economici che dia prospettive e non faccia paventare solo tagli, riduzioni, aumento delle tasse? Quando riprenderemo a ragionare come uno Stato così come descritto nella nostra straordinaria Costituzione e non solo come una qualunque grande impresa che deve fare i conti con gli speculatori, i finanzieri, le agenzie di rating di tutto il mondo? Quando la politica rivolta agli uomini e alle donne, ai bambini e agli anziani, ritroverà la propria dignità perduta?
Un segnale importante potrebbe essere dato proprio in questi giorni dando risposte adeguate alla questione che in Sardegna lega insieme l’estrazione di una materia prima come il carbone, la produzione d’energia e il funzionamento delle fabbriche energivore.
Ci sarà qualche forza politica che avrà il coraggio di spingere Monti e Passera a ragionare in funzione prospettica e non come rigidi ragionieri del presente?