di Joseph Zarlingo
L’ambasciatore francese all’Onu Gerard Araud, ha annunciato al termine di una riunione “problemi per la prosecuzione della missione non ci sono”, ha detto Araud ai cronisti e dunque gli ultimi cento caschi blu ancora a Damasco lasceranno il paese nel giro di una settimana. Rimarrà un funzionario civile di “collegamento” in attesa della possibile nomina di Lashkar Brahimi – diplomatico algerino di lungo corso – al posto di inviato speciale di Onu e Lega Araba che è stato di Kofi Annan.
La giornata si era aperta con il summit dell’Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) riunita alla Mecca. Non c’erano rappresentanti del governo siriano, al vertice che ha approvato l’espulsione temporanea della Siria con 55 voti a favore e solo uno, quello dell’Iran, contr. E’ una notizia attesa, quella dell’espulsione temporanea della Siria dall’Oic, ma nelle parole del segretario generale dell’Oic, Ekmeleddin Ihsanoglu, la decisione “è un messaggio alla comunità internazionale, che la comunità islamica appoggia una soluzione politica e pacifica e non vuole altro spargimento di sangue”. E tuttavia è chiaro che anche la sospensione dall’Oic fa parte della strategia soprattutto saudita per isolare il regime di Damasco (e possibilmente anche l’Iran). Il voto dell’Oic è stato commentato positivamente dal Dipartimento di stato Usa, mentre il ministro degli esteri iraniano Ali Akbar Salehi, secondo l’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna, ha detto che “la sospensione della Siria è ingiusta e sleale. La Siria avrebbe dovuto essere invitata al summit per avere la possibilità di difendersi dalle accuse”. Il summit però è servito anche a lanciare qualche segnale di distensione tra Arabia Saudita e Iran. Il presidente iranianoMahmoud Ahmadinejad è stato accanto al re saudita Abdullah che nei lavori della conferenza ha proposto la creazione di un centro per il dialogo tra le correnti dell’Islam.
I commenti di Ahmadinejad, affidati all’agenzia di stampa Mehr, però, rimangono molto critici: “Alcuni dei nostri amici e fratelli – ha detto il presidente iraniano – anziché invitare le parti in conflitto a dialogare, sono impegnati a mandare armi che incoraggiano il massacro”.
E il massacro, in effetti, va avanti. I miliziani del Free Syria Army, secondo al Arabiya, hanno ucciso 35 soldati governativi ad Aleppo e avrebbero anche messo le mani su mitragliatrici antiaree e almeno un razzo, di cui i ribelli si sarebbero impossessati in un’azione nella zona di al-Dhamir, alla periferia di Damasco. L’aviazione governativa, intanto, ha quasi raso al suolo il villaggio di Azaz, 45 chilometri a nord di Aleppo, molto vicino al confine con la Turchia, una delle vie di transito per combattenti, profughi e rifornimenti. Le vittime, secondo le agenzie di stampa internazionali, sarebbero una trentina, per la maggior parte civili, tra cui molti bambini, mentre i feriti sarebbero circa 200.
Intanto, il quotidiano israeliano Haaretz ha rivelato che Mandi Safadi, capo di gabinetto del viceministro per lo sviluppo del Negev e della Galilea Ayub Kara, ha incontrato a Sofia, in Bulgaria, dei rappresentanti dell’opposizione siriana. Secondo il quotidiano israeliano, l’ambasciatore israeliano in Bulgaria Shaul Kamisa ha mandato un cablogramma al governo di Benyamin Netanyahu per chiedere spiegazioni su questa attività poco “ortodossa” e sul mandato che il funzionario avrebbe ricevuto visto che, scrive il quotidiano, si sarebbe presentato come rappresentante del governo israeliano. La storia, secondo Haaretz, è emersa perché Safadi sarebbe stato intervistato da un giornale bulgaro e ha aperto una controversia interna al governo israeliano, con il ministro degli esteri Avigdor Lieberman che ha protestato presso Netanyahu. Safadi, druso originario di un villaggio sulle Alture del Golan, secondo Haaretz, avrebbe già in passato creato “collegamenti” tra elementi dell’opposizione siriana e alcuni esponenti del governo israeliano.