Siria, lo spettro di un altro Iraq

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di Andrea Riccardi*
«La Siria sta vivendo la crisi più drammatica della sua storia. La scelta della soluzione militare ha portato alla diffusione della violenza, alla perdita di troppe vite umane e a distruzioni generalizzate», si legge in un documento firmato a Roma, a Sant’Egidio, il 27 luglio, da esponenti qualificati dell’opposizione e della società civile. È un accorato appello contro la violenza che dilania il Paese, come si è visto con i recenti bombardamenti di Aleppo.

I firmatari non sono neutrali, ma accusano il regime degli Assad di aver brutalmente schiacciato la società siriana
 con dure e sanguinose repressioni. Affermano che il popolo siriano, già prigioniero del regime, è divenuto ostaggio della violenza: «Pur riconoscendo il diritto dei cittadini alla legittima difesa », insistono i firmatari dell’appello di Roma, «ribadiamo che le armi non sono la soluzione. Occorre rifiutare la violenza e lo scivolamento verso la guerra civile».

La violenza sta seminando odi che lacerano la società siriana. La Siria è una terra dove convivono da secoli varie minoranze religiose (cristiane e musulmane) con la maggioranza musulmana sunnita. Il regime di Assad ha il suo fulcro nella minoranza musulmana alauita. C’è pure un’importante comunità curda. La dittatura dava l’illusione di preservare un equilibrio. Ora il mosaico religioso ed etnico rischia di essere infranto per sempre dalla guerra civile. L’appello di Roma è una voce drammatica cui hanno fatto eco autorevoli vescovi siriani e alcune iniziative.

La regione di Qalamoun, in cui abitano soprattutto musulmani sunniti (ma ci sono pure importanti villaggi cristiani), ha dichiarato di voler bandire la violenza, operando una riconciliazione tra combattenti. La società siriana vuole la pace e la democrazia, ma è ostaggio della violenza.

Ci vuole un’uscita politica. Un ventilato intervento militare dall’estero (non giudicato praticabile da molti Paesi) infatti rischierebbe di riprodurre scenari simili alla guerra in Irak. Tutte le minoranze lo temono. È noto come in Irak i cristiani si siano dimezzati, mentre tutti vivono nell’insicurezza. La rinuncia di Kofi Annan, l’inviato dell’Onu che aveva condotto estenuanti mediazioni, mostra la drammaticità della situazione. Annan ha denunciato le divisioni interne al Consiglio di sicurezza, che paralizzano la comunità internazionale.

I russi non vogliono che il regime sia capovolto. La comunità internazionale, in balìa di veti incrociati, rischia di restare spettatrice o di limitarsi a dichiarazioni e aiuti ai rifugiati. Ma ogni giorno che passa, in Siria, la gente muore e tanti fuggono all’estero. La guerra civile non porterà mai la pace e forse finirà con la tragica divisione del Paese. Occorre una forte iniziativa internazionale che faccia emergere la parte migliore del Paese e dia a tutti (specie alle minoranze) garanzie per il futuro.

* Famiglia Cristiana


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