“Hanno terrorizzato i fedeli con la loro “preghiera punk”, hanno gravemente violato l’ordine pubblico, hanno insultato Putin e il Patriarca Kirill, sono state blasfeme insultando Dio. Il tutto filmando e mandando in rete le immagini per rendere il tutto il più pubblico possibile”, queste in pillole le motivazioni della sentenza. La lettura del dispositivo contro le Pussy Riot è durata ore. Per cercare di spiegare che le tre ragazze non ce l’avevano con Putin ma con la Chiesa. Una balla colossale visto che il gruppo punk rock aveva già manifestato più volte contro il regime putiniano. Ma per evitare l’accusa di una sentenza politica i giudici russi (notoriamente indipendenti dal potete politico) hanno pensato di non considerare le motivazioni politiche del gesto, concentrandosi solo su quelle religiose. Non assenti visto che il concerto punk si è svolto nella principale cattedrale moscovita. Ma l’appello alla Vergine Maria era quello di “liberarci da Putin”. E infatti la condanna per teppismo motivato da odio religioso suona comunque risibile.
Le Pussy Riot sono a tutti gli effetti prigioniere di coscienza. Le tre ragazze, ormai protagoniste dell’immaginario globale, in manette, sotto l’occhio delle telecamere, hanno sorriso e scosso la testa, durante la lettura della sentenza di condanna. Ma non hanno mai mostrato paura. Hanno vinto loro. Il regime putiniano si è coperto di ridicolo in tutto il mondo. Fuori dal tribunale, per dimostrare che la repressione contro le Pussy Riot è solo la punta dell’iceberg delle tirannia, sono state fermati numerosi pacifici manifestanti. Tra loro due leader dell’opposizione, Kasparov e Udaltsov.
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