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Neonati rubati sotto il regime franchista. Quella verità che attendiamo da decenni

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Riguardo la questione dei neonati rubati durante il regime franchista è difficile decifrare cosa fa impallidire più di tutto in questa terribile vicenda. Se è il macabro business dei bambini dichiarati morti ai genitori in seguito alla nascita e poi venduti alle famiglie sostenitrici di Francisco Franco, se è il fondamentale sostegno da parte della Chiesa che ha favorito il traffico illegale o se è ancora la diffusione della teoria circa la superiorità della razza ispanica che considerava inferiori gli antifascisti e tutti coloro che si ribellavano alla dittatura. La gravità dei fatti che solo recentemente stanno venendo a galla fa emergere un quadro allucinante che ruota intorno al dolore di padri e madri costretti a subire l’allontanamento dei propri figli per fomentare un consistente giro di denaro. Oggetto di mercanzia di questa prassi vergognosa praticata negli anni ’40-’50 fino agli inizi degli anni ‘90 quindi messa in atto anche nel periodo successivo alla caduta del regime e alla morte di Francisco Franco avvenuta nel 1975, sono stati 30.000 “ninos robados” provenienti da 258 ospedali della Spagna.

Gli istituti religiosi, gli ospedali e gli apparati dello Stato tessevano le trame di una rete che lavorava senza incontrare ostacoli, obiezioni, chi avrebbe osato farlo veniva minacciato e per questo costretto a tacere. I figli rubati, infatti, non appartenevano solo ai repubblicani, ai socialisti, agli anarchici o ai “los rajos”, i rossi, ossia gli antifascisti ma anche a donne sole, ragazze madri, disagiate, prigioniere politiche che una volta intuito l’inganno erano disarmate dinanzi  al terrore che seminavano gli autori dei crimini.

Il 14 aprile scorso presso il tribunale di Madrid si è presentata suor Maria Gomez Valbuena, imputata di 260 casi di bambini spariti, che dinanzi al giudice Adolfo Carretero si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Qualsiasi parola avesse detto la suora ottantenne non l’avrebbe giustificata dei reati commessi nei confronti di tante donne come Maria Luisa Torres che nel 1981, quando aveva 24 anni, rimase incinta in seguito ad una relazione clandestina. Spaventata si rivolse a suor Maria che la aiutò a partorire nella clinica di Santa Cristina dove la religiosa ha lavorato per oltre 30 anni. Maria Luisa partorì il 31 marzo del 1982 ma non potè abbracciare sua figlia perché le fu riferito che era deceduta subito dopo il parto, in realtà la bambina fu affidata ad Alejandro Alcalde che pagò 200.000 pesetos (6.600 dollari) per acquistarla. L’uomo però in seguito al divorzio con la moglie avvenuto quando la figlia adottiva aveva 15 anni decise di raccontare la verità e, grazie alla ricerca del passato, Ines ha potuto riabbracciare dopo 29 anni la sua vera madre.

La possibilità concreta di svelare i retroscena di queste pagine oscure della storia della nazione è  garantita grazie all’attivismo di alcune associazioni come “Sos bebès Euskadi” e molte altre che hanno organizzato un  importante manifestazione che si è tenuta il 27 gennaio a Madrid, di fronte agli uffici del Procuratore generale dello Stato, e hanno diffuso le loro testimonianze pubblicate da molte testate giornalistiche come El Pais, El Mundo ed altre che insieme ad alcuni programmi televisivi hanno focalizzato l’attenzione sul tema scottante, persino la BBC ha trasmesso un documentario intitolato “This world: Spain’s stolen babies” che racconta i dettagli raccapriccianti della vicenda.

Oltre all’interesse dell’opinione pubblica colta dall’indignazione, molti studiosi hanno approfondito la dinamica dei rapimenti, fra questi c’è lo storico Randy Ryder che ha scoperto di essere stato lui stesso una delle vittime. Il padre Rudolph Ryder gli svelò in punto di morte di aver versato 50.000 dollari alla clinica San Ramon di Malaga per ottenere la sua adozione. Le ricerche compiute da Randy lo hanno condotto ad una delle sedi principali di questo business, il patronato di Sainte Paul, che per un decennio (1944-1954) ha fornito un altissimo numero di neonati al ministero di Giustizia franchista.

Gli innumerevoli casi hanno accomunato migliaia di famiglie che avevano vissuto la stessa tragedia. Così una delle vittime, Antonio Barroso Berrocal ha deciso di fondare Anadir, una banca dati del Dna, che consente di scoprire e conoscere i veri legami di parentela. Considerando la gravità dei fatti e soprattutto la veridicità delle testimonianze il giudice Baltasar Garzon aprì nel 2009 un fascicolo d’inchiesta che consentì la denuncia di molti retroscena e in qualche modo l’ufficialità della scabrosa notizia fino ad allora segregata negli archivi di stato. L’indagine fu chiusa per essere poi riaperta nel 2011 anche se né il governo di Zapatero né quello di Rajoy hanno contribuito alla ricerca della verità intesa come un atto di rispetto verso l’intera popolazione spagnola.


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