Marco Imperato è un giovane magistrato, è tra i primi firmatari del documento di solidarietà a Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta, ad oggi a rischio di trasferimento d’ufficio e provvedimento disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura per le parole dette il giorno del ventennale della strage di Via D’Amelio a Palermo.
A Imperato abbiamo chiesto di ricordarci se ci sono, e quali sono, i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero per un magistrato partendo dall’articolo 21 della Costituzione che recita al comma 1 “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…”
“Ci sono delle diversità per il magistrati che attengono all’esprimere opinioni sul proprio lavoro o le indagini in corso. Ci sono delle regole e dei limiti su notizie che si possono o non possono dare, regole interne, una è in discussione in questo momento con il caso Di Matteo-Messineo per l’intervista a Repubblica del pm di Palermo. E’ la norma introdotta dalla riforma Castelli che stabilisce che i magistrati non possono parlare con la stampa, lo deve fare il procuratore capo o una persona da lui delegata. Nel caso di Di Matteo non so se l’intervista fosse autorizzata da Messineo o meno, so che quello che ha detto Di Matteo non è fuori dalle regole nel senso che ha dato una spiegazione tecnica relativa alle intercettazioni non è entrato nel merito dell’indagini. Non ha commesso un illecito disciplinare perchè non ha leso i diritti di nessuno. Poi nel codice deontologico dell’Anm e in altre circolari si a riferimento a un dovere di imparzialità che deve anche emergere all’esterno, un apparire imparziali che non è finzione ma è funzionale alla credibilità. Conta il contenuto di quello che il magistrato dice, è nel contenuto che non deve esserci faziosità. Nel caso per esempio di Ingroia al congresso dei Comunisti italiani la faziosità nei contenuti non c’era avendo lui difeso la Costituzione. I valori della Costituzione non sono di parte e non sono di nessuno. Anzi il pm non ha solo il diritto ma in un certo senso ha anche il dovere, soprattutto in Italia, direi, dove c’è una illegalità diffusa, di testimoniare e difendere i principi della legge con una testimonianza non solo personale ma anche che chiarisca questioni tecniche in dibattiti pubblici. C’è stato chi voleva limitare la possibilità per i magistrati di prendere parte proprio ai dibattiti ma questa è una prerogativa che non può essere preclusa. Noi magistrati abbiamo rivendicato il diritto di dare il nostro contributo anche culturale. Il caso di Scarpinato riguarda proprio questo, il contributo culturale che può dare una testimonianza dura e fortissima come quella di Scarpinato su questioni di legalità. Scarpinato ha fatto riferimento a comportamenti incoerenti di alcuni politici rispetto ai principi costituzionali, il suo intervento non era di parte perchè era ricondotto all’ambito dei principi della Costituzione. Era una esternazione che esprimeva una lettura culturale e storica di una vicenda legittima, fondata su dati concreti, Scarpinato ha espresso idee e principi in un richiamo di passione civile che non solo difendiamo ma sottoscriviamo. “
Insomma in questi anni ci si è scandalizzati troppo per le parole dei magistrati e troppo poco, forse, si è parlato del silenzio dei politici?
“Probabilmente è uno dei cortocircuiti che si è creato. A volte si è pensato anche di delegare le risposte sui comportamenti dei politici inquisiti all’esito dei procedimenti giudiziari che però dipende da tanti fattori, è un’altra cosa. Faccio un esempio. Leggevo per esempio un articolo che attaccava la nostra iniziativa per Scarpinato su un sito e citava processi ai politici ‘falliti’ come quello a Carnevale e Mannino, processi scaturiti con due assoluzioni in Cassazione. Ma bisognerebbe anche leggere le motivazioni delle sentenze perchè la storia giornalistica e le valutazioni politiche ed etiche possono e devono andare aldilà dell’esito processuale che può essere determinato da valutazioni tecniche. Penso per esempio alla prescrizione nel processo Andreotti che è stata fatta passare erroneamente come assoluzione.
(n.d.r. Andreotti è stato riconosciuto dalla corte di appello di Palermo colpevole di associazione a delinquere con la mafia fino alla primavera del 1980, reato che si era prescritto un anno prima. O il caso del Tg1 diretto da Augusto Minzolini che nel 2010 parlò di assoluzione per l’avvocato Mills quando il reato era prescritto.)
Altro aspetto: se il politico commette un reato io ho l’obbligo di indagare e questo non rende di per sè politica la mia indagine.
In questi giorni che si fa riferimento alla Ragion di stato sono andata a rileggermi i casi da manuale in cui si invoca: viene invocata per giustificare un atto dello Stato che deve rimanere segreto per evitare una rivoluzione, pandemie, guerre o qualsiasi altro avvenimento che possa sovvertire l’ordine dello Stato. A rigor di logica dovremmo dedurre che agli inizi degli anni 90 la mafia stava per prendere il potere, aveva i poteri militari per occupare Palazzo Chigi, il Quirinale, Montecitorio….questo giustificherebbe la trattativa forse?
“Non mi sento di rispondere a questa domanda relativamente allo scenario. Quel che posso dire è che non siamo legittimati a immaginare una Ragione di stato per la quale si facciano scambi con la criminalità organizzata. Non è nemmeno pensabile. Quando il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia ne ha parlato in una intervista a Repubblica l’ho intesa come una provocazione. La responsabilità politica implica fare scelte rispettose dei principi costituzionali. Non può esserci alcuna Ragion di stato di trattare con l’anti-Stato.
Vorrei citarle un passaggio della sentenza con la quale la Corte Suprema di Israele ha dichiarato illegittima la costruzione del muro . Pressapoco diceva che uno Stato di diritto e democratico come Israele si vuole dichiarare deve accettare perfino di combattere il terrorismo con una mano legata se vuole restare fedele alla legge e i diritti. Questa necessità di rispettare il diritto a volte dà addirittura qualche strumento in meno ma è una sfida cui non si può rinunciare perchè altrimenti si tradisce il fine che si sta perseguendo. E’ la fedeltà al diritto che distingue uno Stato di diritto e non si possono mettere da parte i diritti. Altrimenti si sacrifica l’obiettivo per il mezzo una cosa che è sbagliata in astratto e in concreto perchè viene meno la trasparenza, vengono meno le regole di democrazia che ci sono per garantire l’interesse della collettività. Un potere incontrollato da questo punto di vista genera abusi e la legalità non è un terreno di negoziazione. Mai.
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