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Israele, i costi della guerra

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167 miliardi di shekel tra danni diretti e indiretti all’economia, distribuiti tra i tre e i cinque anni dopo il conflitto. L’equivalente di oltre 40 miliardi di dollari. Un centro autorevole di informazione economica, la BDI Coface, ha fatto i conti in tasca a Israele, nel caso lanciasse un raid preventivo sui siti nucleari iraniani, dando così vita a una guerra di ampie proporzioni. E sono costi pesanti, per un paese che già sente il disagio e la protesta sociale, soprattutto in questa estate in cui la protesta ha avuto i suoi tragici episodi di auto-immolazione.

Il modello recente di riferimento è la guerra lanciata da Israele contro il Libano nell’estate del 2006. Un conflitto durato 33 giorni. Una guerra breve, si potrebbe dire cinicamente, nonostante i costi altissimi per la popolazione libanese, piagata da almeno 1500 morti per i raid dell’aviazione israeliana. Una guerra che è comunque costata anche in termini economici a Israele, che subì allora il lancio dei razzi di Hezbollah sul nord del paese, vittime civili, vittime tra i soldati, e una polemica violentissima per il comportamento delle forze di terra di Tsahal, che mostrarono gravi pecche nella preparazione. In termini economici, quella guerra – dice il rapporto – costò una riduzione della crescita di mezzo punto percentuale. La guerra del Libano, però, colpì solo il nord di Israele. Lo scontro con l’Iran, invece, coinvolgerebbe anche l’area centrale, e cioè il 70% dell’attività produttiva. Risultato, dice il rapporto, oltre 11 miliardi di dollari di perdite dirette, corrispondenti al 5.4 per cento del prodotto interno lordo del 2011.

E che un conflitto con l’Iran possa essere un boccone amaro per l’economia israeliana lo ha in sostanza confermato il governatore della Banca Centrale, anche se nessuno dei funzionari ha voluto entrare nei dettagli o commentare lo studio della BDI-Coface. “Scenari in cui Israele debba affrontare una guerra totale sono molti difficili. Ci stiamo preparando ad affrontare una vera e propria crisi”, è stato il commento di Stanley Fischer.

Il fronte contro la guerra, dunque, si allarga. Dall’intellighentsjia ai militari e all’economia. Non solo gli scrittori minacciano di ricorrere alla Corte Suprema, se Netanyahu non accetta di avere una decisione sull’attacco all’Iran condivisa dall’intera coalizione di governo. Non solo i militari continuano a dare profondi e pubblici segni di disagio, dall’intervista rilasciata dall’ex capo dell’intelligence militare, il generale Uri Sagi, sino ai piani dell’attacco usciti dalle segrete stanze (dell’esercito?) e arrivate sul tavolo di Richard Silverstein, il creatore di Tikun Olam. Ora è anche la comunità economica – sembra – a lanciare segnali molto preoccupati, per quella che, a giudicare dalle cifre del rapporto di BDI-Coface, sarebbe per Israele un’avventura rischiosissima anche in termini di tenuta sociale e produttiva.

La guerra, dunque, non sarebbe neanche un buon affare. Ma intanto i tamburi suonano…

http://www.perlapace.it/index.php?id_article=8474


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