Sostengo da alcuni anni una verità elementare ma in Italia difettano ormai gli studiosi dei mezzi di comunicazione (o meglio si contano sulle dita di una sola mano). Abbiamo un’informazione malata che ha difficoltà a rappresentare quella che può essere una opinione pubblica veramente pluralistica. Lo dico ora pensando alla difficoltà di elaborare e diffondere una soluzione, rispetto al dramma dell’Ilva e di una città come Taranto con oltre undicimila lavoratori che dipendono da quella fabbrica, senza parlare delle conseguenze che si verificheranno – se la fabbrica pugliese chiuderà – in Liguria negli altri stabilimenti di quella impresa.
L’unica posizione che tiene conto dell’interesse generale prevalente è di sicuro la politica che si preoccupa contemporaneamente della prosecuzione dell’attività industriale che si svolge a Taranto come a Genova e a Novi Ligure e della necessaria bonifica dell’ambiente.
Ma, nei quotidiani legati alla Confindustria, si parla del costo ipotizzato di venti miliardi di euro per la bonifica necessaria a Taranto e si esclude che l’impresa possa addossarseli e quindi si pone la scelta, secca e inaccettabile, tra chiudere la fabbrica o farla andare avanti accumulando i morti per tumore (386 decessi di cui l’Ilva porta la responsabilità secondo la perizia della Procura di Taranto) secondo i calcoli che hanno già caratterizzato la produzione negli ultimi tredici anni.
Nè a caso si dimentica – e lo mette in luce Stefano Fassina, responsabile del dipartimento economico del Partito Democratico in una intervista all’Unità – che il governo Monti ha emesso un decreto legge per la bonifica e una delibera del CIPE ha autorizzato il finanziamento di ulteriori interventi degli organi economici dello Stato per finanziare la necessaria bonifica. Del resto, Fassina ha ricordato a ragione che proprio Bersani come ministro dell’Industria aveva preparato, prima delle elezioni politiche, nel 2008 un piano Industriale (oggi andrebbe ovviamente aggiornato) che si preoccupava della compatibilità indispensabile tra lavoro e ambiente e che non è stato attuato -come tutti sappiamo – dopo la sconfitta del centro-sinistra e la vittoria di Berlusconi in quelle elezioni.
Né il governo di centro-destra, nei quattro anni della sedicesima legislatura, si è minimamente preoccupato di questi problemi che diventano sempre più centrali per lo sviluppo economico del nostro paese.
Ma la questione dell’ILVA richiede oggi decisioni urgenti e tali da evitare una chiusura della fabbrica che avrebbe conseguenze negative per il Mezzogiorno ma anche per il Nord Italia con le inevitabili conseguenze nelle fabbriche di Genova e Novi Ligure.
C’è da sperare che l’arrivo a Taranto subito dopo ferragosto dei ministri interessati dell’attuale governo possa produrre la decisione che tutti attendiamo: non l’ennesimo scontro tra la magistratura e la classe politica che ha accompagnato tutta la storia del populismo berlusconiano né una soluzione pasticciata che debba far scegliere tra il lavoro e la salute – entrambi valori costituzionali di prima grandezza – ma invece quella decisione di cui parlavo prima: la bonifica già decisa e forse finanziata, sia pure gradualmente, e la ripresa della produzione che riguarda non soltanto il destino di decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici ma anche l’avvenire dello sviluppo industriale nel nostro paese.
Qualcuno dirà che è una soluzione impossibile ma io non sono di questo parere.
Le difficoltà finanziarie dello Stato sono fin troppo note ma se si procederà gradualmente, con l’eliminazione di numerosi sprechi ancora salvati dai provvedimenti di governo, sarà possibile portare avanti la bonifica e, nello stesso tempo, riprendere la produzione di acciaio di cui la nostra industria ha bisogno. Ogni altra soluzione produrrebbe danni enormi difficilmente recuperabili. Ma non ho ancora visto nei nostri maggiori quotidiani come il Corriere della Sera l’attenzione a una simile scelta.