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Ilva: la roulette russa della vita. La storia di Francesco Maggi

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Che destino attenderà gli addetti delle numerose ditte che lavorano in appalto all’interno l’Ilva di Taranto? Uomini che ogni giorno varcano regolarmente il cancello, lavorano e si ammalano di malattie che sulla carta neppure esistono. Perché a Taranto non esiste nessun registro delle patologie professionali. Lo spiega Francesco Maggi con la sua voce debole perché il male che lo accompagna da qualche anno gli sta togliendo le forze ma non la speranza di ottenere giustizia. Francesco ha 39 anni, 5 figli e la vigilia di ferragosto l’ha trascorsa in ospedale, attaccato alla flebo. Dal 2005 Francesco era stato assunto nell’esercito dei lavoratori delle ditte in appalto all’Ilva di Taranto come operaio alla manutenzione dei reparti produttivi. Il 5 dicembre del 2009 ha saputo di essere malato di morbo di Hodgkin. Dopo 9 mesi di chemioterapia, un autotrapianto ed un trapianto di cellule staminali periferiche dal fratello, l’azienda per la quale lavorava nello stabilimento di Taranto gli ha spedito la lettera di licenziamento. Da due anni Francesco e la sua famiglia vivono con un assegno di mille euro, in attesa del risultato della causa avviata contro l’ Inail per il riconoscimento della sua malattia professionale. “Ho deciso di raccontare la mia storia per quelli che ancora non sanno di essere malati e perché casi come il mio non dovrebbero pesare sulle tasche degli altri lavoratori che pagano le tasse ma su quelle delle aziende. Il mio assegno da mille euro dovrebbero addebitarlo ai politici di ogni colore e che solo ora scoprono come a Taranto, per anni, tutti hanno mangiato senza preoccuparsi di altro. Meno che meno della salute”. Francesco Maggi abita a Martina Franca, una sorta di distaccamento abitativo per tantissimi degli oltre 10 mila lavoratori dell’enorme stabilimento che se da un lato garantisce uno stipendio, dall’altro rappresenta un pericolo per la salute e non certo da oggi. Già 15 anni fa, infatti, secondo i dati esaminati dal Centro Europeo Ambiente e Salute dell’organizzazione mondiale della salute attestavano – dal 1980 al 1987 -, un eccesso di mortalità per tumore del 10 per cento con punte per alcuni tipi, anche del 39%. Francesco Maggi ogni mattina entrava dal cancello principale e cominciava a lavorare a contatto con piogge acide, emissioni di ogni tipo, in spazi in cui l’ossigeno si riduce in modo insopportabile. Faceva manutenzione agli impianti, senza orari, giorno o notte. “Si interveniva nelle emergenze così come sulla manutenzione programmata. Ricordo di aver lavorato anche fino a 12 ore di seguito una volta anche per 36”. Il suo calvario è iniziato la mattina del 28 novembre del 2009 con alcuni normali controlli medici. “La sera stessa il titolare dell’azienda mi ha chiamato dicendomi che i miei valori non erano buoni e quindi dovevo ritornare in ospedale per accertamenti”. Una lunga pausa interrompe la conversazione. Poi l’uomo riprende il suo racconto: “A Martina Franca mi hanno sottoposto ad una serie di esami e il 5 dicembre ho avuto i risultati. Milza, fegato e reni erano stati intaccati da masse che non facevano immaginare nulla di buono. La diagnosi è stata linfoma, per la precisione quarto grado del morbo di Hodgkin, uno stato già molto avanzato. I medici del reparto di oncologia quando hanno saputo che lavoravo all’Ilva mi hanno detto che era tutto chiaro”. Da quel giorno Francesco ha iniziato ad entrare ed uscire dagli ospedali nei quali è stato sottoposto a diversi cicli di chemioterapie, senza ottenere nessuna regressione della malattia. “ In compenso i trattamenti mi hanno trasformato. Sentivo il mio corpo bruciare, poi la decisione del trapianto. Oggi quanto meno, i periodi fuori dall’ospedale sono più lunghi anche se stanchezza, febbre e debolezza non mi danno tregua. Fino alla scoperta della malattia mi sentito forte nulla mi faceva paura e lavoravo per i miei figli (dai 15 ai 4 anni ndr.). Vorrei che tutto fosse come prima, certo all’ Ilva non tornerei a lavorare per tutto l’oro del mondo”. Dopo nove mesi di cure e due operazioni Francesco Maggi riceve la lettera di licenziamento. “Del resto come previsto dal contratto nazionale dei metalmeccanici. Sono iscritto alla Fiom. Certo che dal punto di vista legale non ho molte speranze ma spero che ci sia qualcuno pronto a fare davvero qualcosa. Perché la mia storia purtroppo non sarà destinata a rimanere isolata”. Lo dice chiaramente Francesco che purtroppo saranno numerose le famiglie che con il passare degli anni scopriranno di avere un malato in casa. “A Taranto la gente difende il posto di lavoro ma chi lavora all’Ilva può solo sperare di essere risparmiato da certe patologie. Qualcuno mi dice che sono stato sfortunato perché c’è gente che lavora da 30 anni senza problemi. Ma io non mi arrendo a considerare che il diritto alla salute sul lavoro sia una roulette russa”. reguitti@articolo21.info


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