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Il “contagio” siriano. Primi scontri in Libano

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da Avvenire
Ufficialmente sono 37.240, verosimilmente superano i cinquantamila, i libanesi sono convinti invece che siano più di due milioni. Ma da qualsiasi punto di vista li si osservi, i profughi siriani in Libano vengono percepiti come un pericoloso problema di sicurezza interna. Rispetto agli altri Stati confinanti, solo il Paese dei cedri si è rifiutato infatti di allestire campi e tendopoli, temendo non solo di mettere a repentaglio il proprio equilibrio confessionale, con nuove ondate di sunniti, ma anche un esodo di palestinesi siriani verso i già sovraffollati campi profughi dei loro compatrioti in Libano. Una corsa che effettivamente si sta già verificando: secondo stime dell’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei profughi palestinesi, sarebbero giunte più di tremila persone nelle ultime settimane. Si tratta per lo più di profughi scappati dopo i violenti bombardamenti del tre agosto scorso nel campo palestinese di Yarmouk, nella periferia di Damasco.

«I numeri reali sono molto più alti», ammonisce però Ahmed Ben Saidi, portavoce di Assomoud, una delle principali Ong palestinesi, e si aggirerebbero intorno ai 5mila. «Ma la vera novità è che ormai nei campi palestinesi vivono ora anche molti cittadini siriani», spiega Iad Abu Naim, che lavora, assieme ad altri ragazzi di Damasco, coi bambini siriani nei campi di Sabra e Chatila: gli unici posti a Beirut dove è possibile affittare una casa per poche centinaia di dollari.

La capitale libanese, infatti, ha un costo della vita europeo seppure nel suo cuore nasconde diverse realtà tra le quali quelle estremamente povere delle baraccopoli. Tra i vicoli dei due quartieri tristemente noti per i massacri di cui il prossimo settembre ricorre il trentennale, il tempo sembra essersi fermato: svettano ancora palazzine bombardate fatiscenti, il sistema fognario è irrimediabilmente danneggiato, la corrente elettrica non c’è per buona parte della giornata, l’acqua corrente non è potabile, le costruzioni sono per lo più baracche incompiute, senza porte, né finestre, e alle molte scale, pericolanti, mancano i corrimano.

«Il problema più grave sarà l’inserimento scolastico dei bambini – prosegue Abu Naim – perché la maggior parte delle famiglie siriane si nasconde nei campi clandestinamente, per paura di ritorsioni da parte dei numerosi pro-Assad che vivono in Libano». Anche per questo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) ha recentemente aperto nuovi punti di censimento, soprattutto a Tripoli, cercando di venire incontro ai tanti profughi che non vogliono o non sanno dove registrarsi.

I problemi, in realtà, non mancano neanche per i regolari, con il governo libanese che rema contro l’integrazione rifiutando le cure mediche secondarie ai profughi e l’iscrizione scolastica a chi è sprovvisto del certificato di promozione della scuola siriana. Misure restrittive che le Ong stanno tentando di ammorbidire creando degli spazi di compromesso. Di fatto resta nel Paese un grande clima di diffidenza: gli sconfinamenti dell’esercito siriano in territorio libanese sono all’ordine del giorno con tanto di sparatorie e arresti di presunti terroristi.

Nella città costiera di Tripoli, gli scontri tra libanesi e siriani sunniti e alawiti sono sempre più frequenti mentre il rapimento di 20 siriani da parte di sciiti legati ad Hezbollah ha seminato il terrore anche tra donne e bambini mogli e figli dei combattenti anti-Assad. «Per questo tante madri non vogliono registrare i piccoli per mandarli a scuola – conclude Abu Naim –: allontanandosi dai campi potrebbero essere rapiti. O subire maltrattamenti, violenze». Vittime due volte di un conflitto insensato.

(Susan Darbous)
DA DAMASCO AD ALEPPO LA TRAPPOLA SIRIANA
E’ una guerra senza quartiere – ieri di nuovo per le vie di Damasco oltre che ad Aleppo – ma ormai anche senza confini. Bombardamenti a tappeto in mattinata anche dal Qasiun, l’aspra collina che domina la capitale. Non accadeva dal 18 luglio che l’esercito bombardasse a tappeti i quartieri in mano ai ribelli. Poi, come l’altro giorno alla moschea di Muaddamiya, l’incursione dell’esercito protetto dai carri armati e dagli elicotteri a Kfar Suse: un rastrellamento casa per casa e almeno 22 le vittime di esecuzioni sommarie in piazza.

Ucciso «con un colpo alla testa» nella sua cassa a damasco pure Musaab al-Awdallah, giornalista anti-Assad che per anni aveva lavorato per un quotidiano governativo. Accuse dei ribelli che ieri contavano oltre 100 morti in tutto il Paese. Esercito contro disertori, milizie filogovernative degli shabiha contro fondamentalisti islamici stranieri, sciiti contro sunniti: è uno scontro furioso e anarchico che secondo l’opposizione avrebbe fatto in quattro settimane oltre mille morti nella sola Aleppo, da mesi il fronte principale. Ma la battaglia ormai varca i confini stessi della Siria.

Da lunedì si combatte anche a Tripoli, città portuale del Libano settentrionale a pochi chilometri dal confine con la Siria. Ieri mattina in città è tornata una relativa calma, dopo una notte di violenti combattimenti tra fazioni rivali dei quartieri di Jabal Mohsen (alauiti sostenitori di Hezbollah e filo-Assad) e Bab al-Tabbane (sunniti sostenitori dei partiti anti-siriani): 12 le vittime in tre giorni, un centinaio i feriti, nonostante l’intervento dell’esercito libanese. Due elicotteri siriani hanno invece sorvolato a bassa quota la località di Masharih al-Qaa, dove si sono rifugiati molti esuli.

Confini infuocati e “porosi”: ieri il premier francese Ayrault ha ammesso di aver fornito aiuti militari «non letali» ai ribelli. E l’Iraq ha deciso di chiudere il valico di al-Qaim perché controllato dai ribelli. Conferme indirette al monito del vice-premier siriano Qadri Jamil – martedì a Mosca – su di un probabile «allargamento della crisi oltre i confini» in caso di intervento militare straniero. Una replica all’avvertimento di Obama a non varcare la “linea rossa” delle armi chimiche: il loro uso determinerebbe per la Casa Bianca «enormi conseguenze».

Per il giornale russo Kommersant la Siria ha assicurato di non voler usare armi non convenzionale contro la popolazione civile. Una conferma cercata dal Cremlino che, stando sempre al Kommersant, giudica serie le minacce di Washington. Ma il conflitto siriano ha messo in moto pure i pasdaran iraniani: la Guida Suprema Ali Khamenei, avrebbe dato disposizione alle forze di élite della brigata al-Quds, di intensificare gli attacchi contro l’Occidente. Lo hanno rivelato fonti dell’intelligence occidentali al Telegraph: l’ordine di Khamenei dopo un dossier commissionato ai Guardiani della Rivoluzione che sottolinea come gli interessi nazionali della Repubblica Islamica sono messi a repentaglio dal sostegno dell’Occidente ai gruppi di opposizione che stanno tentando di far cadere Assad. Per questo l’Iran non può «rimanere passivo». Da Damasco ad Aleppo la trappola siriana potenzialmente abbraccia già tutto il Medio Oriente.

Fonte: www.avvenire.it

 


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