I due miracoli del Ghana

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di Davide Maggiore
Petrolio e primarie: sta anche in queste due parole il segreto del Ghana, emerso da alcuni anni come capofila tra i Paesi dell’Africa occidentale, per stabilità politica e per crescita economica. Certo, quest’ultima, pur tenendo conto dei punti di partenza in alcuni casi disastrosi, e delle enormi disuguaglianze che restano, è ormai propria di diversi Stati del continente, ma raramente si accompagna ad una vita politica dinamica e pacifica.

Lo stesso Barack Obama nel suo primo, e finora unico, viaggio da presidente in un Paese dell’Africa subsahariana, ha riconosciuto l’importanza dell’esempio del Paese della “Stella Nera. “In Ghana ci mostrate una faccia dell’Africa troppo spesso trascurata da un mondo che vede solo emergenze e bisogno di carità”, aveva detto il presidente degli Stati Uniti rivolgendosi al parlamento di Accra, a luglio 2009.

Parte di questo volto nuovo riguardava, secondo Obama, gli “impressionanti tassi di crescita” dell’economia: nel 2010 erano stati circa dell’ 8 per cento, secondo la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale. E basandosi sui primi dati dell’anno successivo, il governo aveva stimato un’ulteriore crescita per il 2011, di ben il 20 per cento, contro una più prudente stima del Fondo Monetario Internazionale, che ha parlato ‘solo’ del 13,6 per cento. Su questo risultato incidono certamente i prezzi in crescita delle materie prime di cui il Paese è ricco, in particolare cacao e oro. Ma il petrolio gioca un ruolo chiave: proprio nel 2010 è iniziata la produzione nel giacimento offshore ‘Jubilee’, tra i più ricchi scoperti nel mondo negli ultimi anni. E già nel 2011 il Ghana ha esportato greggio per una cifra pari a 2,8 miliardi di dollari: ancora una frazione di quanto realizzato da colossi petroliferi africani come Nigeria e Angola, ma abbastanza per dare il via a nuove esplorazioni, giudicate molto promettenti da Aidan Heaney, fondatore della Tullow Oil.

Il petrolio, però, non può rappresentare la soluzione di ogni problema del Ghana: come molte altre economie africane, il paese si trova a fare i conti con una distribuzione delle risorse molto sbilanciata verso l’alto, e anche il reddito medio pro capite è ancora vicino alla soglia di povertà. Senza contare che lo sfruttamento dei campi petroliferi di Jubilee ha provocato tensioni anche ad alto livello nel 2010, quando l’amministrazione dell’allora presidente John Atta Mills (morto per malattia nel luglio scorso) si era opposta all’accordo tra l’impresa texana Kosmos e la multinazionale statunitense ExxonMobil. Questa avrebbe dovuto rilevare dalla prima alcune quote del giacimento, ma aveva deciso di ritirarsi dopo mesi di resistenze. Facilitando così, secondo i critici, i piani del governo, ‘sponsor’ di altri acquirenti, provenienti da oriente: coreani, cinesi, indiani.

Ad impedire al Ghana di andare incontro a una nuova versione di quella che è stata definita “la maledizione delle risorse”, causa di instabilità e scontri in molte parti dell’Africa, potrebbe intervenire la seconda parola chiave, emblema della democrazia: “primarie”. E’ con questo metodo, infatti, che entrambi i grandi partiti del Paese (il National Democratic Congress, già guidato da Atta Mills, e il New Patriotic Party, d’opposizione) nominano per statuto i loro candidati alle elezioni, che vengono selezionati da un gruppo di ‘grandi elettori’ scelti a livello locale. Eppure, la morte di Atta Mills rischia di complicare le cose: a prendere il posto dell’anziano leader è stato il vice presidente John Mahama, come previsto dalla costituzione, confermando così che la stabilità del Ghana non è a rischio, come non lo era stata nel 2008, al momento dell’elezione di Atta Mills. La sua vittoria era stata accettata quasi senza polemiche, e comunque senza violenza, dal NPP e dal suo candidato Nana Akufo-Addo, sconfitto per pochi voti dopo aver chiuso in testa il primo turno elettorale.

La ‘semplice’ successione di Mahama nelle vesti di candidato presidenziale del NDC (e di nuovo avversario di Akufo-Addo, che ha ottenuto la ricandidatura per il NPP) sembra tuttavia andare incontro a più problemi. Alla nomination aspirava infatti anche Nana Konadu Rawlings, moglie dell’ex presidente (con un passato da militare golpista) Jerry Rawlings: la donna era però stata battuta da Atta Mills nelle primarie del NDC. E tuttavia, secondo alcune voci, la coppia Rawlings, ancora influente nel paese, potrebbe decidere di sostenere un terzo candidato.

Le elezioni del prossimo dicembre, quindi, metteranno ancora alla prova il nuovo ‘modello’ ghanese, e non solo dal punto di vista politico: già negli scorsi anni infatti, come ha rivelato il sito WikiLeaks, alcune imprese americane – protagoniste di importanti investimenti nel Paese – si erano dette preoccupate per la possibilità, poi scongiurata, di un’instabilità politica ad Accra, ormai da anni ‘accogliente’ nei confronti delle iniziative statunitensi. Naturale quindi che Washington (e non solo) guardi con interesse alla probabile prosecuzione del ‘miracolo’ del Ghana. Tanto che il confronto politico ha trovato una interessante convergenza tra numerosi esponenti politici: dire subito come saranno usate le nuove risorse che verranno dal petrolio. Un problema posto dall’astro emergente della politica ghanese, la figlia del padre della patria, Samia Nkroumah: ma non solo da lei.

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