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Ecomafia e criminalità organizzata. Storia, esemplare, di veleni e di inchieste senza colpevoli

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Mettiamola così: se sotto gli occhi vi capita un titolo che dice: “I veleni dal Nord in Campania, 191 inchieste, nessun colpevole”, dovrebbe essere logico e spontaneo cercare di capire di che cosa si tratta; se andando oltre al titolo si apprende che a proposito di questo enorme business che è costituito dallo smaltimento e occultamento illegale di sostanze altamente inquinanti e praticamente monopolizzato dai clan della camorra, mai sono stati identificati inquinatori e mediatori, e che c’è un enorme “buco” nero costituito dalla mancata identificazione delle protezioni e delle complicità istituzionali e politiche, si fa un salto sulla sedia; se infine a rivelare tutto ciò è una giornalista seria e preparata come Rosaria Capacchione, più volte minacciata dalla criminalità organizzata proprio per la serietà e il rigore delle sue inchieste, e costretta per questo a vivere sotto scorta, allora vien da chiedersi la ragione di tanta “indifferenza” e “disattenzione”.

Cosa sostiene Rosaria Capacchione in una lunga e dettagliata inchiesta pubblicata dal quotidiano napoletano “Il Mattino” (19 agosto)? Che “a voler mettere in fila le 191 inchieste che hanno attraversato l’Italia delle ecomafie, a voler guardare bene nelle migliaia di faldoni che le compongono, si scopre che raccontano solo a metà il fenomeno che ha appestato campagne e coscienze diventando fonte di guadagni pressoché illimitati (tre miliardi di euro nel solo 2010, stando alle stime di Legambiente) per le consorterie mafiose”.
Si scopre, insomma qualcosa che lascia sgomenti, avvilisce: in tutte quelle carte mancano i nomi che contano: quelli dei mediatori, dei lobbisti che hanno tessuto la strategia, degli uomini delle istituzioni che hanno consentito, tollerato o coperto il traffico di rifiuti; degli industriali che hanno cinicamente approfittato della possibilità di smaltire milioni di bidoni di sostanze che poi hanno inquinato i territori di Giugliano, Villaricca, Villa Literno, Casal di Principe, Maddaloni, Marcianise”.
A riunire le 191 inchieste in una sola, si scopre che raccontano, quella che Rosaria definisce “una storia incompiuta, piena di buchi: quelli delle discariche abusive e quelli delle conoscenze investigative, interrotte quasi sempre a mezza strada”.
Si comincia con una storia che risale, pensate un po’, al 1985: quando un imprenditore, Pietro Colucci racconta di un vorticoso via vai di camion che arrivano dalle regioni settentrionali e riversano i loro veleni a Sessa Aurunca e a Castelvolturno. I carabinieri fermano decine di camion carichi di rifiuti che sversano illegalmente l’immondizia nell’impianto di Giacomo Diana: che viene denunciato, ma mai fermato. “Aveva ottenuto – ma da chi? – un salvacondotto che si rivelerà necessario al prosieguo della storia e alla crescita del sistema dei consorzi di bacino”.
Tre anni dopo, è il 1988, sulla scena compare Cipriano Chianese; “avvocato di Parete con entrature importanti nella magistratura, nelle forze dell’ordine, nel Sisde”. L’indomani del suo arresto, il 4 gennaio del 2006, la Dda di Napoli scrive: «Sviluppando alla massima potenzialità le relazioni variamente intessute, ha fornito informazioni riservate agli esponenti di vertice e agli affiliati al clan dei Casalesi». Negli atti di quell’inchiesta è contenuto anche il verbale di perquisizione nella casa di Licio Gelli.
Chianese: un nome da tenere in mente: il suo nome già comincia a circolare nel 1992, con le dichiarazioni del primo “pentito” ecomafioso: Nunzio Perrella da Fuorigrotta, che aveva abbandonato il traffico di droga per dedicarsi a quello, assai più redditizio, dei rifiuti: socio in affari di Gaetano Vassallo (che inizia a collaborare con la giustizia sedici anni dopo), di Gaetano Cerci (parente del capo casalese Francesco Bidognetti), e di imprenditori liguri e toscani.
Il patto, ricostruisce Rosaria, è siglato a Villaricca, ristorante La Lanterna: lì, racconta Perrella, la compravendita di rifiuti industriali e tossici diventa “sistema”. Vassallo può raccontare molto di quel patto, fare i nomi di chi si spartisce la torta: “Se lo ha fatto, quell’elenco è ancora secretato. Il dato di fatto è che a oggi non conosciamo neppure uno dei committenti dello smaltimento illegale. E neanche gli intermediari”.
Non finisce qui. Nel 1995, ricorda Capacchione, l’allora capo della Procura di Napoli, Agostino Cordova, nel corso di un’audizione in commissione ecomafie, aveva lasciato intendere che “ci sarebbe stata presto una svolta. Nella ricostruzione della Dda, Licio Gelli era necessario per l’accordo in quanto in possesso di una fitta rete di contatti con gli imprenditori del nord Italia che avrebbero dovuto fornire i rifiuti”. Massimo Scalia, all’epoca presidente della Commissione, conferma: “Nel corso delle audizioni con Cordova abbiamo appreso che per interessarsi di rifiuti in Campania bisognava passare per Gelli” ma anche per altri appartenenti a logge massoniche. A chi si riferiva Cordova, si chiede Capacchione: all’imprenditore ligure Ferdinando Cannavale, che aveva partecipato al tavolo con Perrella e Vassallo? A Gaetano Cerci, che nel 1991 e nel 1992 era stato ospite di Licio Gelli assieme al camorrista Guido Mercurio, che a Villa Literno (che ospita buona parte delle ecoballe della penultima emergenza su piazzole costruite su terreni riferibili al clan Iovine) gestiva un impianto di rottamazione? Ad altri soggetti i cui nomi sono rimasti sconosciuti?”.
Le indagini più recenti rivelano l’esistenza di un accordo stabile tra il gruppo Zagaria, monopolista del movimento terra e del trasporto dei rifiuti, e il clan Belforte di Marcianise. All’epoca dell’inchiesta su Pasquale Centore – era il 1999 – funzionario di banca ed ex sindaco di San Nicola la Strada arrestato per traffico internazionale di droga, assassino reo confesso del padre del giocatore Marco Borriello, di questo accordo non si sapeva molto e forse fu per questo che sfuggì l’altro collegamento con Licio Gelli. Nel processo milanese sulla connection era stato coinvolto anche un tale Andrea Cusano, braccio destro di Centore, titolare della Euro Truck. Nel gennaio 1991 era stato controllato assieme alla moglie nei pressi di Villa Wanda, ad Arezzo. Nello stesso posto era stato trovato anche l’anno successivo, il 29 settembre del 1992. Nel 1997, invece, ai cancelli della residenza aretina del Venerabile viene identificato Antonio Belforte, cugino di del capozona di Marcianise. Si ipotizza che i contatti con Gelli siano riferibili al traffico di cocaina, nessuno (?) pensa alle ecomafie. Cusano era un autotrasportatore. E il gruppo Belforte faceva ingresso nel business dei rifiuti attraverso la Sem, sequestrata tre anni fa. Nessuno, però, ha seguito quella traccia.
La storia c’è tutta, e va a tutto merito di Rosaria avercela raccontata. Ma per tornare all’inizio: 191 inchieste, migliaia di pagine di faldoni: nessun colpevole…


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