Nega, diffama, se vuoi rischiare, calunnia, ma, soprattutto, nega. Alla fine qualcosa resterà. Lo hanno fatto e continuano a farlo per la grandissima tragedia europea che fu la Shoah, hanno continuato e probabilmente non la finiranno mai finché saranno lasciati liberi di perpetuarsi, per le tragedie italiane. Da Portella della Ginestra alla Strage di Piazza Fontana, da Piazza della Loggia alle stragi che hanno spazzato via le vite e chissà quali documenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ora che ricorre il trentaduesimo anniversario del più feroce, sanguinario, disumano attentato alla vita quotidiana degli italiani, la tecnica è stata rilanciata con maggior virulenza: alle falsità si aggiunge la derisione.
Eppure quelle 85 persone – bambine e bambini, donne e uomini – sono state cancellate, le vite di tanti loro familiari sconvolte, così come quelle dei tanti feriti. Erano lì, in una stazione ferroviaria. Lì avrei potuto esserci io, o uno dei miei figli, uno dei miei cari, come altri milioni di italiani, adulti e bambini.
Chi sbeffeggia, chi ha depistato, chi si inventa e ha inventato in passato alternative di nessuna credibilità, non attacca solo l’aspirazione di centinaia di persone ad avere giustizia, tanto più legittima in un Stato democratico. Opera pesantemente perché venga leso anche il mio diritto di cittadino di pretendere trasparenza da una Democrazia per la quale mi batto quotidianamente. Altro che mettere una pietra sopra su tutto o, peggio, voglia di revisionismo storico, anche su questo!
Il 2 agosto 1980 ero a letto, malato. Leggevo. Alle 13.30 accendo il televisore per il Telegiornale. Le immagini di devastazione della stazione di Bologna erano così terribili che volli ostinarmi a credere che quello scempio di umanità non fosse stato prodotto da qualcuno definibile umano sul piano genetico. Speravo in un’esplosione causata da una fuga di gas.
Ventun anni più tardi, nel pomeriggio dell’11 settembre, scrivevo nel mio studio. Sento mia figlia Giovanna – 12 anni – commentare un incredibile spettacolo televisivo. Mi chiama per consultarmi. Ed io, incredulo, a dirle : “Ma no, dev’essere l’invenzione di grande effetto per lanciare qualche nuovo prodotto televisivo americano”. Anche in quel 2001 volevo rifiutare di credere che la disumanità si scatenasse contro la quotidianità.
In un celebre discorso fatto a Berlino, subito dopo la costruzione dell’orribile muro, John Kennedy pochi mesi dopo essere stato eletto Presidente degli Stati Uniti, volle autodefinirsi berlinese. Il 2 agosto di tutti gli anni ogni italiano, ogni sincero democratico, ogni uomo o donna che metta al primo posto del loro agire l’umanità dovrebbe definirsi bolognese. E non per spirito di solidarietà. Per rivendicare un proprio diritto calpestato in modo barbaro, prima con una bomba, poi con ridicole interpretazioni di quel che accadde. Il diritto a spostarsi liberamente, a viaggiare, a intessere relazioni, a salutare un familiare o un amico in partenza o in arrivo, ad abbracciarsi, a baciare bambini, a spargere una lacrima per una partenza. Come si fa a tentare di cancellare il fatto che quel 2 agosto del 1980 si tentò di sfregiare la nostra normalità?
E’ per questo che chiunque si senta “bolognese” deve continuare a battersi per avere giustizia. Sarebbe un primo straordinario risultato nel cammino per togliere dalla storia d’Italia degli ultimi quattro decenni quella cortina di ‘top secret’, mai dichiarata, ma di fatto esistente. Che esista o non esista una qualunque “Ragion di Stato”.