Mio fratello presumibilmente non ha rispettato la legge… per questo è morto… Per mio fratello si sono attivate due volanti dei carabinieri quella maledetta notte, non male con tutte le emergenze che ci sono ogni notte in una città come Roma. E la mattina seguente la macchina della giustizia si è mossa rapidamente, così rapidamente da non dare il tempo ad un giudice ed un pubblico ministero di accorgersi che il ragazzo che avevano di fronte non era un albanese senza fissa dimora, bensì un pestato visibilmente sofferente… Anche per questo è morto mio fratello. Se come spesso si dice ‘le responsabilità sono ancora da accertare’, una cosa però è certa. Diversamente da quello che sostiene il nostro pubblico ministero, quel ragazzo seduto per venti minuti dolorante in un’aula di tribunale, sotto gli occhi di tutti, non era in fin di vita prima di essere scaraventato negli ingranaggi della nostra giustizia e delle nostre carceri. Dove è stato massacrato quasi immediatamente, senza una ragione valida. E senza una ragione valida isolato e lasciato morire. Sei giorni… un lasso di tempo brevissimo, dove però in tanti (e ognuno a suo modo rappresentante delle istituzioni) hanno assistito al suo calvario, voltandosi dall’altra parte, ‘prendendo le distanze’ come uno di loro ha dichiarato, in una consuetudine che fa rabbrividire.
Mio fratello è morto anche per questo. Stefano è morto perché la giustizia non è uguale per tutti… Ed oggi la giustizia per la sua morte, che avevo creduto fosse scontata e automatica, ci sta richiedendo una battaglia dolorosa ed impari. E in tutto questo non una delle istituzioni coinvolte si è premurata di ammettere che, come è ormai evidente, qualcosa al proprio interno non ha funzionato e quel qualcosa ha interrotto una vita umana. E’ doveroso e fa onore applicare le leggi ed i regolamenti interni sugli sbagli personali di un singolo… guai a non farlo, ma è facile. Molto diverso è quando ci sono vittime di soprusi delle forze dell’ordine. Perché vuol dire mettere in discussione un intero sistema. Ed evidentemente i nostri morti non ne valgono la pena. Così succede che cinque agenti di polizia, dichiarati in tutte le sedi colpevoli di omicidio di un ragazzino appena diciottenne che non aveva fatto niente di male, sono ancora lì a ‘rappresentarci’… mantengono il loro posto di lavoro. Mentre Federico, Stefano, Giuseppe, Michele e tutti gli altri un ‘posto di lavoro’ non potranno averlo mai più… Questa, caro Lino, è la nostra giustizia.