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Clinton da una mano a Obama

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Di Guido Moltedo

Chi sarà la rockstar della convention democratica di settembre? Barack Obama? No, sarà Bill Clinton. Se il presidente in carica arranca nella sua corsa per la rielezione, l’ex presidente, 65 anni, è in forma smagliante. Alludiamo ai sondaggi. Che descrivono un’America tanto indispettita con Barack quanto in idillio con Bill: due terzi degli americani, il 66 per cento, hanno un’opinione favorevole dell’ex inquilino della Casa Bianca. Sono gli stessi livelli di popolarità raggiunti da Clinton all’epoca dell’inizio del suo primo mandato, nel 1993. Livelli talmente alti da essere trasversali e che implicano dunque una sua relativa presa anche nell’elettorato repubblicano, che per lungo tempo gli è stato ferocemente ostile. Con gli anni, lontano ormai dall’epoca della presidenza, Bill Clinton ha raggiunto la stessa popolarità di Ronald Reagan. Come “The Gipper” – così chiamavano Reagan – è considerato un politico speciale, venerato nel suo partito, ma rispettato anche dai suoi avversari. Nessuna sorpresa se a un personaggio con un carisma così siano state dedicate l’ora e la giornata principali della convention (in genere riservate al vice-presidente).

Clinton avrà il prime time del 5 settembre, quando ai settantamila delegati e invitati dell’assemblea democratica si aggiungeranno milioni di telespettatori che si sintonizzeranno con la Time Warner Arena di Charlotte, Carolina del Nord. Il giorno dopo, la giornata finale, Joe Biden presenterà Barack Obama, che pronuncerà il discorso di accettazione della nomination democratica. E si dirà grato a Bill per il grande aiuto che gli darà (anche se i clintoniani di stretta osservanza sostengono che il presidente è incapace di gratitudine), ma con l’apprensione di chi sa che gli osservatori metteranno il suo discorso in contrappunto e in confronto con quello di Bill. Per concludere che Clinton resta la stella polare nel cielo democratico. La squadra obamiana teme il paragone anche su un altro piano.

Come dice un’esperta repubblicana di strategia di comunicazione, Alice Stewart, «Clinton senza dubbio inietterà energia nella convention e darà unità al partito, ma averlo lì non farà che rimarcare il contrasto tra questi due presidenti: Clinton fu quello del successo economico e della prosperità». Lui «è l’anti-Obama», taglia corto l’opinionista conservatrice Jennifer Rubin, anticipando quello che prevedibilmente sarà il ritornello della propaganda repubblicana per far finire fuori strada il tandem Obama-Clinton.

Nel 2008, alla convention democratica di Denver, Bill Clinton fu un simbolo cruciale della ritrovata unità nel Partito democratico, dopo la lacerante battaglia nelle primarie tra Barack e Hillary, che peraltro egli stesso aveva contribuito a infiammare (per esempio, definendo «una favola» l’ambizione presidenziale di Obama). Allora la popolarità di Bill era lontana dai picchi attuali, sia in generale sia presso i diversi blocchi elettorali considerati determinanti per vincere le presidenziali.

Oggi l’ex presidente è visto con favore da segmenti di voto strategici per l’esito delle elezioni del 6 novembre, settori con i quali Obama fatica a connettersi: i bianchi, i maschi, gli anziani, gli indipendenti. Ma soprattutto la classe operaia bianca. Joe Biden continua a compensarlo su quei fronti, ma non con la stessa attrazione che esercita Clinton. Il quale, infatti, dopo l’intervento a Charlotte, dovrebbe partecipare attivamente alla campagna per la rielezione di Obama, nell’ultimo scorcio della corsa. L’intervento di Clinton sarà preceduto da quello di Elizabeth Warren, personaggio di primo piano sulla scena democratica. La sua corsa in Massachusetts per tentare di riconquistare il seggio storico dei Kennedy, perso dopo la morte di Teddy a favore di un repubblicano di modeste virtù, Scott Brown, ha un evidente significato simbolico, oltre che iper-politico (nel senato che uscirà dal voto di novembre il Partito democratico faticherà a conservare l’attuale risicata maggioranza).

Ma, la battagliera aspirante senatrice, famosa non solo nel suo stato ma in tutti gli Usa per la sua crociata contro Wall Street, è soprattutto la beniamina dei democratici che non hanno paura di definirsi liberal. Per certi versi, ha finito per assumere la figura della combattente che, agli occhi di tanti democratici delusi, Obama non ha saputo o potuto incarnare da presidente. Avrebbe dovuto essere lei la keynote speaker della convention, ma le è stato preferito il sindaco di San Antonio, Julian Castro, non solo perché ispanico e rappresentante del più importante stato del Sud, il Texas, ma anche perché Warren sarebbe stata vista come una sorta, lei sì, di anti-Obama, o peggio dell’Obama che molti si aspettavano e che non c’è mai stato. Tuttavia, parlando nella stessa serata riservata a Clinton, immediatamente prima dell’ex presidente, l’accoppiata avrà un evidente rilievo politico, che potrà prestare il fianco anche alle malignità anti-obamiane dentro e fuori della Time Warner Arena.

Per il presidente della convention, Antonio Villaraigosa, sindaco Los Angeles, il ruolo di Warren ha un valore politico perché «è una dirigente impegnata nella ricostruzione dell’economia a partire dalla middle class, e non viceversa dall’alto in basso, come è stato nell’economia del passato». Insomma, per lo stato maggiore democratico, la presenza e il ruolo di Warren vanno viste non con la lente del conflitto interno, ma come una risposta al programma economico anti-popolare di Mitt Romney e dei repubblicani.

E Hillary? La segretario di stato è una trottola in continuo movimento nel pianeta. A Washington preferisce lunghe e impegnative missioni all’estero. Non interviene mai nel dibattito politico domestico. Per correttezza istituzionale, non può partecipare alla campagna elettorale in corso. Peccato, perché anche il suo aiuto sarebbe prezioso per Obama. Come per Bill, per lei i sondaggi sono generosamente favorevoli. Secondo la Gallup, il 66 per cento degli americani ha un giudizio positivo su di lei, lo stesso livello di Bill e molto più del 54 dato a Obama. Hillary non sarà nella seconda amministrazione Obama. Si farà da parte. Con il pensiero rivolto al 2016.

Ufficialmente i suoi luogotenenti escludono una sua nuova sfida presidenziale, ma quando si passa in rassegna la lista dei possibili aspiranti alla Casa Bianca dopo Obama, inevitabilmente resta solo il suo nome. E ti viene sussurrato, da chi le è più vicino, che il suo principale sponsor è Bill.


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