È la mattina di un giorno di giugno del 2006, leggo soddisfatto nella rassegna stampa appena uscita un articolo del Sole 24 Ore che dà ampio spazio alla proposta di Agcom per lo sviluppo in Italia di una rete di telecomunicazioni di nuova generazione (cd NGN). Penso: “ci siamo riusciti”. E si, perché l’argomento non è proprio digeribile. Infatti, Tronchetti Provera, proprietario allora di Telecom, nelle ore successive ha una durissima reazione contro l’Autorità. Parla di lesione degli interessi dell’azienda, minaccia un’azione per danni. Ma, come si dice, la verità ha una sua forza intrinseca e il tema da quel momento si impone come centrale nella discussione sullo sviluppo digitale del nostro paese. Sono passati sei anni, i ricordi cominciano a sbiadire, e cosa é successo: nulla. Pochi tentativi e molte chiacchiere. Si è detto:”Berlusconi non vuole lo sviluppo di internet e dell’NGN perché sono una piattaforma alternativa alla televisione”. Probabilmente vero, anche se vi sono state ulteriori cause di questo “fallimento”. Telecom non ha potuto o voluto impegnarsi, i tentativi di creare un consorzio di operatori sono stati evanescenti, lo Stato non ha avuto voglia nè soldi, le Regioni, che pure potevano, si sono incartate in interessi localistici. E soprattutto pochi hanno realmente creduto nell’importanza di queste infrastrutture e nello sviluppo di un ecosistema digitale. Risultato: l’Italia è tra i paesi che meno utilizzano internet. Arriviamo ad oggi. Tutti i giornali riportano con evidenza, tra le misure per la crescita varate dal Governo, l’avvio della cd Agenda Digitale. Alcune idee dell’agenda sono interessanti e spesso sono il frutto di suggerimenti che da tempo circolano tra gli addetti ai lavori. Ad esempio, alcune proposte sul cloud computing nella pubblica amministrazione e sull’open source. Giusta anche l’attenzione ad un programma di alfabetizzazione informatica, anche se l’approccio pare un pò superato. È inutile che vai a spiegare ad un nativo digitale come funziona un computer o internet, gli devi invece far comprendere quello che ci può fare, oltre che stare tutto il giorno attaccato ad un videogioco o su un social network. C’é poi la questione che per caratteristiche demografiche il nostro é un paese in cui la maggior parte delle persone non può essere oggetto di una campagna scolastica di alfabetizzazione informatica e a questo potrebbe in parte sopperire se solo si volesse affidare un ruolo all’informazione del servizio pubblico. D’altra parte, l’arretratezza italiana non è solo il frutto di una mancanza di conoscenza ma soprattutto è causata dall’assenza di percezione dell’utilità di questi strumenti. La tecnologia vince se serve o almeno se è sentita come utile. Si tratta di un dato antropologico ineludibile. Per questo bisogna prevedere la messa in campo di strumenti che rendano più semplice l’uso delle opportunità offerte da internet (i nostri telefonini potrebbero ad esempio essere uno di questi strumenti di facilitazione). Sul tema delle reti di nuova generazione, anch’esso inserito nell’Agenda Digitale, siamo invece alle solite. Per prima cosa non si può realizzare una rete digitale senza parlare anche di frequenze. Oggi per reti si deve intendere un sistema convergente e flessibile in cui i concetti di fisso e mobile sono declinati in base alle circostanze. Quello delle frequenze resta peró un tabù anche per l’Agenda Digitale. Si è in ritardo con la gara ex beauty contest e non si dice nulla sulla revisione complessiva del Piano di ripartizione delle frequenze e sul loro uso (sprechi, burocratizzazione e rendite di posizione compresi). Quanto alla fibra ottica permane evanescente lo sviluppo dei relativi investimenti. Si parla di F2i, Cassa depositi e prestiti, fondi UE. Non ci si illuda: la vera questione dell’NGN italiano passa attraverso una scelta sul futuro della rete Telecom e dell’indotto nazionale, Sirti, Italtel, Sielte (in questi ultimi casi interessi cinesi permettendo). Per il resto quali misure potrebbe prevedere in più un’agenda di governo? Intanto evitare che la cabina di regia dell’Agenda si trasformi in un nominificio. Poi si potrebbe:
– fissare un obbligo per la Rai di realizzare importanti trasmissioni di informazione sull’uso delle nuove tecnologie;
– semplificare l’uso dei servizi on line della pubblica amministrazione ed in particolare il regime della firma digitale;
– modificare il codice del consumo prevedendo che chi aggiunge gabelle alle transazioni elettroniche compie una pratica commercile scorretta pesantemente sanzionata;
– obbligare la realizzazione di POS con tecnologia NFC per consentire, come avviene negli altri paesi, un uso diffuso dei telefoni cellulari come moneta mobile;
– rivedere il regime dell’IVA per favorire le transazioni elettroniche;
– prevedere le notifiche amministrative e giudiziarie esclusivamente via internet;
– prevedere che ciascun cittadino abbia un indirizzo mail;
– disporre la nullità ipso iure delle clausole contrattuali che vietino la vendita diretta su canali on line;
– attenuare sostanzialmente il regime dei diritti di esclusiva sui contenuti digitali al fine di non limitarne la circolazione;
– rivedere il regime delle rilevazioni degli indici di ascolto per favorire maggiore concorrenza nel mercato pubblicitario;
– prevedere un ampio sviluppo del telelavoro anche mediante una esplicita disposizione nel codice civile nell’ambito della disciplina del contratto di lavoro subordinato.
A queste misure (molte a costo zero) altre se ne potrebbero aggiungere. Resta comunque il fatto che le nuove tecnologie dovrebbero innanzitutto produrre un generale ripensamento del nostro sistema politico ed economico. Ma il potere, nelle sue varie espressioni, su questo non molla.
* già Commissario Agcom