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21 anni dopo l’omicidio di Libero Grassi

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Un’impresa contro la mafia, quella compiuta da Libero Grassi, che con il suo sacrifico ha squarciato il velo del silenzio denunciando apertamente i suoi estorsori. Ha pagato con la vita, ma è diventato un esempio per chi in Sicilia – e non solo – ha deciso di ribellarsi alla mafia. Era un imprenditore vero, Libero Grassi, di quelli che non ci stanno a piegare la testa, di quelli per cui “impresa” significa “dignità”. Catanese di nascita e palermitano d’adozione, si chiamava Libero in ricordo del sacrificio di Giacomo Matteotti. La famiglia, antifascista, non immaginava di segnare in quel nome un destino. Dopo la guerra apre a Palermo uno stabilimento tessile, e si dà alla politica aderendo al Partito Repubblicano. Era una persona abituata a dire quello che pensava pubblicamente, apertamente, lealmente. Dagli anni Sessanta i suoi interventi politici vengono pubblicati su diversi giornali locali. Per questo, quando nel 1991 riceve le minacce di Cosa nostra, la denuncia è per lui una conseguenza logica.

La affida alle colonne del «Giornale di Sicilia», suscitando l’interesse, tra gli altri, di Michele Santoro, che lo volle come ospite nella sua «Samarcanda». Il suo caso suscitò l’attenzione dei giornali stranieri. Che stava accadendo in quell’Italia d’inizio anni Novanta, in preda a una crisi che stava mandando in pezzi l‘ancien régime, capace persino di ribellarsi a Cosa nostra? Non stava succedendo niente. Libero Grassi, lasciato solo, è stato ucciso il 29 agosto del 1991. Ucciso, come tutti coloro che si opposero alla mafia, in quella Sicilia di sangue e tritolo. Ucciso, sì, ma il seme della ribellione era ormai stato piantato. Se oggi esiste, come esiste, una crescente attenzione dell’opinione pubblica nei confronti della lotta al fenomeno mafioso, è anche grazie a uomini come Libero. Se oggi esistono associazioni che quotidianamente si impegnano, educando le giovani generazioni alla legalità, è anche grazie a uomini come Libero.  «Qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall’omertà dell’associazione degli industriali, dall’indifferenza dei partiti, dall’assenza dello Stato». Sono le parole, scritte a mano, del manifesto che come ogni anno Alice, figlia di Libero Grassi, ha incollato al muro di Via Alfieri, a Palermo, la strada in cui il padre è stato ucciso 21 anni fa per essersi riufiutato di pagare il pizzo. Parole dure, parole vere, inutile nascondersi dietro la retorica del sacrificio. Le responsabilità non possono che essere collettive. E collettivo dev’essere il riscatto. Malgrado lo sgomento di una domanda che non trova risposta: oggi Libero andrebbe incontro a sorte diversa?

tratto www.narcomafie.it

www.liberainformazione.org


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