di Emanuela Giampaoli*
Il regista e giornalista bolognese Filippo Vendemmiati torna al festival di Venezia 2012. Nel 2010, era stato invitato per “È stato morto un ragazzo”, su Federico Aldrovandi, che gli valse poi il David di Donatello. Questa volta sarà in Laguna per le Giornate degli autori con la storia “di un altro ragazzo”, come ama definirlo lui, che di anni però ne ha 97. Si intitola “Non mi avete convinto”, ed è un documentario su Pietro Ingrao.
Vendemmiati, perché un film su Ingrao?
“Perché per la mia generazione ha rappresentato l’idea stessa della politica, intesa come passione e non come mestiere. Credo, almeno per me è così, sia stato il più carismatico dei politici del dopoguerra, ma anche il meno potente”.
Come si è arrivati al film?
“Innanzitutto ho dovuto vincere le resistenze della sua numerosa famiglia, ha cinque figli e tutti erano preoccupati che realizzassi il ritratto agiografico dell’ultimo comunista. “Non ci interessa mitizzare la figura di nostro padre”, mi ripeteva Chiara, una delle figlie che più mi ha aiutato. Poi però hanno letto la sceneggiatura e si sono lasciati convincere”.
Una sorta di biografia di Ingrao per immagini.
“Io lo definisco un dialogo, anche perché l’intervista, che alternata ai materiali di archivio costituisce l’ossatura dell’opera, non è mai stata un’intervista in senso classico. Ci siamo visti quattro volte in 8 mesi, e sempre, dopo le prime domande, Ingrao passava al contrattacco: voleva sapere di me, se avevo capito. Tutto poi ruotava intorno a un interrogativo fondamentale: “ma questo mondo ti piace o non ti piace?”, mi chiedeva”.
E lei cosa rispondeva?
“Io che ho sempre avuto paura per non dire fastidio di fronte alla vecchiaia, mi sono trovato davanti a un uomo quasi centenario che ha riacceso i sogni e le illusioni dimenticati della mia gioventù. Se con “È stato morto un ragazzo” ho fatto i conti col mio mestiere di giornalista, con “Non mi avete convinto” mi sono misurato con le mie aspirazioni di ragazzo”.
E invece, i rimpianti di Ingrao quali sono?
“Tanti, a partire dall’aver avallato l’invasione dell’Ungheria nel ‘56, al voto a favore dell’espulsione del gruppo del manifesto nel ‘68, sempre per fedeltà al partito. Ma uno dei suoi crucci maggiori non è legato alla politica. Avrebbe voluto fare il regista, frequentò il primo anno del Centro sperimentale di cinematografia, poi però con lo scoppio della guerra civile spagnola capì che la sua strada era un’altra”.
A proposito, lei per realizzare questo film ha dato vita a una casa di produzione, la Tomato Film. Come mai?
“Per essere più libero, ma non escludo di sostenere anche altri progetti se mi convincono. Intanto, siamo in cerca di un editore per il dvd di questo documentario, che ci è costato 120mila euro e, ad eccezione di un piccolo contributo dell’Istituto Luce che lo distribuirà, è stato totalmente autoprodotto”.