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Vent’anni dopo le parole di Borsellino

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Chi ricorda quel 4 luglio del 1992 a Marsala quando Paolo Borsellino venne a salutare la Procura e gli uffici del Tribunale non può non ricordare la tensione che si toccava con mano e non solo perché la strage di Capaci del 23 maggio era appena dietro l’angolo. C’era altro. Qualcos’altro. Borsellino era stato capo della Procura di Marsala dal 1986, promosso dal Csm e bocciato da quell’articolo di Leonardo Sciascia sui “professionisti dell’antimafia” pubblicato in grande evidenza sul Corriere della Sera all’indomani di quella nomina. Pochi ricordano ma Borsellino e Sciascia un giorno ebbero a stringersi la mano ad un incontro provocato dall’allora sindaco di Marsala Enzo Genna, socialista, e davanti alle telecamere di Rtc, la tv di Rostagno, e Rostagno era andato ad intervistare tutti e due, magistrato e scrittore.

Chicca Roveri ricordando quel momento in Tribunale raccontò di Rostagno che tornò stravolto da quel colloquio con Borsellino, da quel momento Rostagno in tv iniziò ad alzare il tiro contro mafia e mafiosi, e i loro affari, droga, appalti e politica. Morirà, Rostagno, poche settimane dopo quelle interviste. Borsellino fece un duro lavoro a Marsala, le indagini cominciarono a portare gli investigatori a ridosso delle cosche, la “pacchia” era finita per i mafiosi, e Borsellino attorno agli anni ‘90 cominciò anche a raccogliere i frutti del lavoro, le prime collaborazioni, come quella di Rosario Spatola e Giacoma Filippello, campobellesi, di Rita Atria giovanissima diciassettenne di Partanna andò a trovare il procuratore per raccontare i segreti ascoltati assistendo agli incontri del padre, ammazzato dai suoi ex amici, e raccolti dal fratello, ucciso anche lui perché voleva vendicare il genitore.

Nel 1992 il trasferimento a Palermo, procuratore aggiunto alla Dda, trasferimento segnato dalla strage di Capaci, dove la mafia uccise Giovanni Falcone, amico e collega di Borsellino. La “mattanza” di Capaci non permise a Borsellino di rendere il saluto al suo ufficio prima di andare via, i suoi colleghi, i suoi pm, quelli che ”qualcuno” chiamava “giudici ragazzini” – che era un modo non di rendere onore all’età ma come dire che erano troppo giovani per ben lavorare, ma non era vero che non sapessero lavorare -, lo convinsero a incontrare colleghi e “attori” tutti della giustizia a Marsala, il 4 luglio.

Era teso Paolo Borsellino….

«Questo incontro avviene dopo diversi mesi che io sono andato via dalla Procura di Marsala; avviene così tardi per colpa mia, perché il lavoro che mi ha preso pesante e impegnativo a Palermo ha fatto sì che io più volte pregassi i colleghi che volevano farmi questo saluto a postergarmi una data. E purtroppo in questo periodo è avvenuto qualcosa che fa sì che io oggi vi ringrazio per queste parole di affetto ….Vi ringrazio come uomo profondamente cambiato, dopo questa tragedia che ha sconvolto la nostra patria, la nostra Sicilia e noi tutti. Tragedia che mi ha fatto temere e mi fa temere ancora di aver perduto l’entusiasmo. Spero che questo entusiasmo mi ritorni … Io sono venuto a Marsala per poter continuare un lavoro che avevo iniziato a Palermo con Giovanni Falcone: io non so quello che farò dopo, perché la morte di Giovanni Falcone mi ha talmente colpito – come magistrato ma soprattutto, consentitemi, come uomo che ha vissuto con lui la sua vita fin da bambino – che oggi sono tanti gli interrogativi ai quali io non so dare risposta ».

Fu anche l’occasione per annunciare che al suo fianco presto avrebbe avuto investigatori di grande capacità, come Rino Germanà, ex capo della Mobile di Trapani, allora capo della Criminalpol siciliana. Morto Borsellino, il Viminale mandò a Mazara Germanà, facendogli fare un passo indietro nella carriera, e portandolo vicino ai sicari di Cosa nostra che il 14 settembre 1992 tentarono di ucciderlo. C’era aria strana quel 4 luglio del ’92 a Marsala. Si percepiva che c’era chi cercava di capire cosa stesse facendo Borsellino dopo Capaci, c’era anche chi andava chiedendo notizie sui fascicoli delle sue indagini da procuratore di Marsala.

Il periodo in cui Borsellino non era più procuratore a Marsala, fu anche contraddistinto da un forte attrito tra i pm rimasti e il pm Domenico Signorino arrivato a Marsala come reggente dell’ufficio. Scontro messo nero su bianco. A fine di quel 1992 Signorino si suicidò, dopo le accuse di un pentito, era stato pm con Ayala al maxiprocesso. Tornando a luglio 1992 a Marsala, a testimoniare la tensione c’è una lettera scritta dai pm marsalesi al loro procuratore. La conclusione letta oggi fa venire la pelle d’oca. A Borsellino quei magistrati affidarono il compito di garantire lui la fiducia che loro riponevano nello Stato, solo lui e nessun altro:

“Carissimo Paolo, al di là dei saluti ufficiali, anche se sentiti, un momento arrivato, un colloquio fra noi. Non tutti siamo qui a Marsala con Te fin dal Tuo arrivo, ma ognuno di noi porta nel suo cuore un pezzetto di storia da raccontare sul lavoro a Marsala, nella Procura che Tu hai diretto. Ci piacerebbe ricordare tante situazioni impegnative o tristi o buffe che ci sono capitate in questa esperienza comune, ma l’elenco sarebbe lungo e, allo stesso tempo, insufficiente”.

“Possiamo comunque dirTi di avere compreso appieno il significato di questo periodo di lavoro accanto a Te e le possibilità che ci sono state offerte: l’esperienza dei «pentiti», i rapporti di un certo livello con la polizia giudiziaria, sono situazioni rare in una Procura di provincia, e la Tua presenza ci ha consentito di giovarci di queste opportunità. Abbiamo goduto, in questi anni, di una autorevole protezione, i problemi che si presentavano non ci apparivano insormontabili perchè ci sentivamo tutelati”.

“Qualcuno ci ha riferito in questi giorni che Tu avresti detto, ironizzando, che ogni Tuo Sostituto, grazie al Tuo insegnamento «superiorem non recognoscet». Sai bene che non è vero, ma è vero invece che la Tua persona, inevitabilmente, ci ha portati a riconoscere come superiore solamente chi lo è veramente. Ci sono state anche le incomprensioni, e non abbiamo dimenticato nemmeno quelle: molte sono dipese da noi, dalle diversità dei caratteri e della natura di ognuno; altre volte, però, è stata propria la Tua natura a vedere ogni cosa da una Tua personale angolazione, insuscettibile di diverse interpretazioni. Tuttavia, anche in questo sei stato per noi un «personaggio», Ti sei arrabbiato, magari troppo, ma con l’autorità che Ti legittimava e che mai abbiamo disconosciuto”.

“Anche nel rapporto col personale abbiamo apprezzato l’autorevolezza e la bontà, mai assurdamente capo, ma sempre «il nostro Capo». E poi Te ne sei andato, troppo in fretta, troppo sbrigativamente, come se questo forte rapporto che ci legava potesse essere reciso soltanto con un brusco taglio, per non soffrirne troppo. Il dopo – Borsellino – non Te lo vogliamo raccontare: pure se uniti fra noi, in tantissime occasioni abbiamo sentito che non c’eri più ed in molti abbiamo avvertito il peso, talvolta eccessivo per le nostre sole spalle, di alcune scelte, di importanti decisioni. E adesso il futuro, il Tuo, ma anche il nostro”.

“Noi Ti assicuriamo, già lo facciamo, siamo all’erta, sappiamo cosa vuol dire «Giustizia» in Sicilia ed abbiamo tutti valori forti e sani, non siamo stati contaminati, se è vero che «chi ben comincia» – con ciò che ne segue – siamo stati tutti molto fortunati. Per Te un monito: è un periodo troppo triste ed è difficile intravederne l’uscita. La morte di Giovanni e Francesca è stata per tutti noi un pò la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il Tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori. Sii la nostra fiducia nello Stato”.

http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=17986 


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