di Roberto Bertoni
Parlare di umanità e di buona politica in questi tempi bui, è sinceramente un’impresa ardua. Ancora più arduo, poi, è fare promesse in vista delle prossime elezioni che, come speravamo da tempo, non si svolgeranno prima della primavera del 2013. In tal senso, si erano impegnati con convinzione sia Napolitano che Monti, coadiuvati dalla correttezza di Bersani e dall’appoggio senza se e senza ma del Terzo Polo all’attuale esecutivo.
Come ho avuto modo di sottolineare già altre volte, l’atteggiamento di Bersani (cioè un sostegno critico e riformista, pragmatico e propositivo) mi convince fino in fondo; quello di Casini un po’ meno perché la cieca fiducia dimostrata nei confronti dell’esecutivo, a cominciare da uno dei ministri più discussi come Elsa Fornero, rischia di sortire l’effetto opposto a quello desiderato.
Con questo appiattimento, infatti, Casini non soltanto priva Monti e i suoi ministri del suo apporto di esperienza politica e parlamentare ma potrebbe addirittura far saltare l’ipotesi di un accordo con il centrosinistra perché, mentre un Casini moderato ma comunque incline al cattolicesimo democratico e alla dottrina sociale di mercato, potrebbe essere, insieme a Vendola, l’alleato naturale del PD in un percorso di ricostruzione del Paese, un Casini quasi liberista, che non batte ciglio nemmeno sugli aspetti più discutibili della spending review e non chiede neppure ad alcuni esponenti del governo di evitare certi toni e di esprimersi in modo più consono al loro ruolo, rischia seriamente di essere respinto sia dall’ala sinistra dei Democratici sia, con ancora maggiore fermezza, da SEL, mandando in frantumi un’ipotesi di coalizione atipica ma, forse, necessaria per uscire dal pantano.
Non è un caso se abbiamo citato la spending review perché è proprio su questo provvedimento che il fronte progressista si gioca le sue possibilità di guidare l’Italia nel prossimo quinquennio. E, last but not least, l’atteggiamento dei vari leader in questa delicatissima fase, probabilmente, delineerà anche i futuri incarichi istituzionali.
Bersani sembra averlo capito meglio di tutti: difatti, da qualche giorno, riesce ad esercitare con saggezza il suo ruolo di ago della bilancia all’interno del partito di cui è segretario, mettendo d’accordo sia l’ala sinistra sul piede di guerra sia l’area liberal e riformista più vicina alle posizioni di Scalfari e de “la Repubblica”.
Simpatizzando da sempre con questa seconda area, non posso che plaudire a quanto scrive Massimo Giannini in un articolo intitolato “La modica quantità”: “Il saldo finale deve generare un risparmio significativo per il bilancio dello Stato. Ma insieme a questo, deve propiziare anche un “compromesso al rialzo” tra lo Stato che offre servizi e il cittadino che li produce e che se ne serve.
La “spending review” di Monti inclina più verso la voce “tagli” che non verso la voce “riforme”. L’urgenza del gettito fa premio sull’efficienza del sistema. In parte era inevitabile, vista la criticità del giudizio dei mercati su un’Italia soverchiata dal suo debito sovrano e la necessità di scongiurare un nuovo giro di vite sull’Iva nel 2013. Almeno su questo, il premier ha mantenuto la promessa, costruendo una manovra estesa anche se non abbastanza profonda. Taglio per taglio. Prima di intervenire sulle “voci” più sensibili si doveva aggredire il capitolo delle spese militari, limitando o azzerando l’investimento da 12 miliardi sui caccia F-35, che servono alla Difesa come biglietto d’ingresso nelle commesse della Lockheed, ma non servono al Paese”.
Allo stesso modo, non posso che plaudire alla saggezza manifestata dall’esecutivo nell’evitare l’ennesimo, dolorosissimo taglio alle università pubbliche per dirottare la somma ricavata al sostegno delle scuole private parificate. Sarebbe stata, difatti, molto più di un’ingiustizia; sarebbe stata una catastrofe, il colpo di grazia nei confronti di un settore che già se la passa malissimo da anni e un’offesa o, per meglio dire, un’altra sberla sul viso di chi non può permettersi di far studiare i figli all’estero, nei migliori istituti privati o alla Bocconi.
In merito agli altri due nodi cruciali della riforma (la sanità e gli statali), permangono tuttora alcune perplessità: sia sulle sorti dei lavoratori che andranno in mobilità sia sui tagli alla spesa sanitaria, che ricadranno sulle regioni, cioè sui governatori, i quali già minacciano di compiere sfracelli se l’esecutivo non tornerà sui propri passi e non aprirà un serio tavolo di discussione.
Senza dimenticare i sindacati, con CGIL e UIL (un’alleanza inedita negli ultimi anni) pronte persino allo sciopero generale e la CISL che frena sulla forma di protesta estrema ma esprime comunque un giudizio di ferma contrarietà sulle misure varate dal governo.
Volendo tracciare un primo bilancio della spending review targata Bondi-Giarda-Monti-Grilli, possiamo dire che senz’altro andava fatta e che il saldo di ventisei miliardi di risparmi in tre anni è corretto ma che i capitoli di spesa da tagliare o da ridurre andrebbero in parte rivisti.
Niente da eccepire sulla diminuzione delle province mentre qualche dubbio sorge sulla sforbiciata ai piccoli tribunali e sulla drastica riduzione dei giudici di pace, senz’altro necessarie ma da effettuare con maggiore gradualità, utilizzando il bisturi e non il machete.
Perché in fondo, mettendo in relazione forma e sostanza, il problema di questo governo è sempre lo stesso: l’inesperienza e la troppa voglia di fare, di cambiare, di migliorare il Paese dall’oggi al domani, in uno slancio di ingenuo entusiasmo che fa onore a persone perbene come Paola Severino o Annamaria Cancellieri ma – come detto a proposito del comportamento di Casini – rischia di sortire l’effetto opposto a quello sperato, facendo salire l’ansia, l’apprensione e la tensione sociale oltre il livello di guardia.
Anche se tecnici e di passaggio, i ministri di questo governo, al pari dei loro vice e sottosegretari e dei consulenti esterni ai quali giustamente si appoggiano, dovrebbero capire che amministrare un paese complesso e in crisi come l’Italia di oggi non è la stessa cosa che tenere una dotta lezione all’università e che, quando si opera sulla carne viva di categorie ormai allo stremo, occorre maggiore umiltà e toni autenticamente moderati e più umani.
Qualcuno sostiene che, prima di tutto, bisognerebbe invertire la rotta e affrontare questa devastante situazione con un netto cambio di direzione economica e politica e con scelte che vadano finalmente a soddisfare le esigenze dei ceti più umili e di chi ha patito indicibili sofferenze a causa di questo declino e degli errori/orrori della destra.
È tutto vero e tutto giusto, come è vero e giusto che Tremonti non si sarebbe mai dovuto impegnare, di fronte all’Unione Europea, a garantire il pareggio di bilancio entro il 2013, per il solo, cinico, inaccettabile motivo che ben sapeva di non doversene occupare lui, in quanto prevedeva un ritorno alle urne già quest’anno e un’ampia vittoria del centrosinistra.
L’ampia vittoria del centrosinistra ci auguriamo di cuore che si verifichi comunque nella prossima primavera. Nel frattempo, chiediamo ancora una volta a Monti e ai suoi ministri di porre al centro della propria agenda i drammi di chi è rimasto indietro.
Ora più che mai, in questo regno del vuoto e della disperazione collettiva, occorre un raggio di umanità e una dose massiccia di equità per rendere sopportabili ulteriori sacrifici a chi da anni fatica ad arrivare alla metà del mese.