di Ghada Duaibes
Padre Paolo Dall’Oglio è a Roma. E ci parla della guerra, della repressione e del conflitto civile strisciante. E della necessità cristiani siano ponte di dialogo. Si è commosso fino alle lacrime quando ha parlato delle vittime del conflitto siriano, dicendo di pregare per tutte, quelle degli insorti ma anche quelle di chi lotta per Assad. Era evidentemente commosso e toccato padre Paolo Dall’Oglio quando, parlando davanti ad un uditorio tanto numeroso quanto coinvolto, ha rivisto dentro di sé quel gruppo di anziani musulmani, insorti, che ricordano ai loro ragazzi quando si parla degli uomini del regime “non farete a loro quello che loro hanno fatto a noi.” E questa è una delle sue principali preoccupazioni: che si eviti la vendetta. “Ma l’animo siriano non è vendicativo. Io ho visto un leader degli insorti pregare davanti ai membri della sua famiglia sterminati dalle milizie filo-Assad, piangere e pregare ad alta voce per una Siria unita, un Paese per tutti, sunniti, curdi, alawiti, cristiani, curdi; tutti!”
Dal Campidoglio, dove si è svolto un convegno sulla Siria intitolato “Siria, ieri, oggi e domani” padre Paolo Dall’Oglio ha dato la sua testimonianza sulla situazione in Siria, una situazione intollerabile, tanto da non potere in alcun modo separarsene un mese dopo esserne stato espulso per decreto governativo. Questa la testimonianza di padre Dall’Oglio
Cosa la preoccupa di più dell’oggi?
Naturalmente la prima preoccupazione è la ferocia della repressione del regime che causa un danno insopportabile a così tante famiglie, per via dei tantissimi morti, torturati, detenuti e sfollati. Oggi ci sono migliaia e migliaia di sfollati a causa dell’ invasione di tanti centri abitati da parte dell’esercito del regime di Assad.
La seconda preoccupazione è per le popolazioni che vive tra il fiume Oronte e la costa. Si dice che, anche se cadesse il regime, la guerra civile non finirebbe così facilmente e che proseguirebbe soprattutto in quella zona, dove il conflitto assume i connotati di conquista di porzioni di territorio per assicurare una continuità e omogeneità territoriale alla comunità alawita. Quindi in quell’area il conflitto è per la casa, il terreno. Sa, i Siriani rifiutano l’idea che la loro sia una guerra civile, dicono che erano uniti e andavano d’accordo prima che arrivasse il partito di Baath. ma oramai, dopo tutto il sangue che è stato versato, la guerra civile è lì.
Come si può superare questa guerra civile?
Per prima cosa bisogna dire che dopo 40 anni di regime non si può evitare questa guerra senza dare i diritti a tutti i segmenti della società siriana e senza tener conto delle preoccupazioni delle minoranze, in particolare la minoranza sciita, rispettando i curdi e le altre religioni. Solo così la Siria può arrivare alla libertà e alla democrazia , al punto di essere federalista e coesa per arrivare a una democrazia matura.
Perché lo scenario in Siria è diverso da quello degli altri paesi delle rivoluzioni arabe?
Perché la Siria è diventata il campo dove si giocano troppi conflitti: quello tra sciiti e sunniti ( che coinvolge Iran, Turchia, Qatar e Arabia Saudita, ndr), quello geostrategico tra Russia e Occidente, e quello arabo israeliano, con evidenti tornaconti per Israele.
E’ anche per la consapevolezza di tutto questo, per il timore di imboccare una strada “irachena”, che molti siriani rifiutano l’intervento militare straniero. Ma l’alternativa non può essere la stagnazione, la paralisi della diplomazia davanti all’escalation della repressione. Chi sta guardando da fuori deve assumersi le sue responsabilità! Si tratti dell’Iran dell’Arabia Saudita, della Turchia, della Russia o della diplomazia occidentale, o dell’Onu.
Qual è la soluzione adatta, secondo lei, per la Siria?
Io sono del parere che dove c’è un conflitto dilaniante come quello siriano la comunità internazionale deve separare le parti combattenti sul terreno per cercare una soluzione politica attraverso negoziati pacifici tra le parti. In questo caso, la comunità internazionale deve mandare decine di migliaia di “caschi blu”, creare un “corpo civile di tutela e difesa del popolo siriano”, creando le condizioni quindi per un dialogo tra il regime e gli insorti, che rimane l’unica soluzione.
E dove sono i cristiani di tutto questo?
I cristiani avrebbero dovuto fare di più. Dovevano essere il ponte di comunicazione e servire la riconciliazione nazionale, ma questo purtroppo non è avvenuto, o per meglio dire, non è stato fatto abbastanza . Mi appello ai cristiani in ogni luogo in Siria e fuori della Siria affinché svolgano un ruolo più attivo nel dialogo siriano- siriano. Noi abbiamo provato a organizzare un incontro a Ginevra, a Parigi e ora anche a Roma. Non è facile, ma non demorderemo.
Qual è la sua condizione personale? Cosa le è accaduto esattamente?
Io sono stato espulso dalla Siria, sono stato cacciato via dal regime.
Poteva essere più utile per i siriani restando in Siria?
Lì lavoravo per il bene di tutti i siriani e la mia linea non cambierà mai.
Poteva essere un rischio continuare a vivere in Siria per la sua incolumità’ personale?
Non posso pensare alla mia incolumità di fronte a un popolo che piange i suoi martiri a centinaia, quotidianamente. Non riesco a pensare per un attimo al mio corpo di fronte a questa catastrofe nazionale, illimitata. E così io oggi finisco per offrire me stesso e il mio sacrificio a questo paese, a questo popolo così amato, così caro.