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Romania sul baratro: è l’ora dell’ impeachment

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di Valerio Refat
A due mesi dalla formazione del nuovo governo, il terzo dall’inizio dell’anno, esplode a Bucarest la crisi istituzionale tra il premier Victor Ponta e il presidente Traian Basescu. Ad aggravare lo scontro ha contribuito, nelle ultime ore, il via libera dell’esecutivo ad un decreto d’urgenza teso a limitare i poteri della corte costituzionale nei confronti delle deliberazioni parlamentari. Solo in seguito alle pressioni di Stati Uniti e Commissione Europea, preoccupati per la tenuta del fragile sistema democratico romeno, Ponta è riuscito a convincere il ministro della Giustizia Titus Corlatean a ritirare il provvedimento. Intanto, dopo un durissimo braccio di ferro parlamentare, la maggioranza ha ottenuto la testa del presidente del Senato, Vasile Blaga, e quella del numero uno della Camera, Roberta Anastase, entrambi legati a doppio filo al capo dello Stato e sostituiti rispettivamente dai socialdemocratici Crin Antonescu e Valeriu Zgonea.

Arroventata dalle temperature più elevate degli ultimi anni, la capitale si surriscalda anche in vista dell’esito della procedura d’impeachment contro Basescu che, proprio in queste ore, viene discussa da un parlamento riunito in seduta straordinaria. I partiti della coalizione governativa di centrosinistra Usl, formata da socialdemocratici e liberali, ai quali si sono aggiunti alcuni transfughi del Pdl, il partito di centrodestra al potere dal 2008 al 2012 al quale appartiene Basescu, accusano il presidente di reiterate violazioni della carta costituzionale, di aver minato le basi della democrazia e di aver messo a rischio la separazione dei poteri attribuendosi competenze riservate al governo e favorendo le misure di austerità che hanno messo in ginocchio le fasce più deboli della popolazione.

Se la maggioranza semplice dei parlamentari dovesse concedere l’ok alla destituzione del presidente, entro trenta giorni la popolazione sarà chiamata ad esprimersi tramite referendum sulla validità della decisione. Una situazione analoga si verificò nella primavera del 2007, quando l’allora maggioranza socialdemocratica mise il presidente in stato d’accusa per aver violato la costituzione. Ma il successo dei negoziati per l’adesione del Paese all’Unione Europea spinse tre elettori su quattro a confermare la fiducia al capo dello Stato, spianando la strada alla sua riconferma avvenuta nel 2009.

Questa volta sull’incerto destino di Basescu peseranno in maniera determinante la crisi economica che da quattro anni sta erodendo il Pil del Paese e l’austerità imposta da Commissione Europea e Fmi. Nell’ultimo anno in Romania l’impopolarità della classe politica è salita oltre il livello di guardia e i tagli al welfare messi in atto dal centrodestra per ottenere gli aiuti internazionali, senza i quali non sarebbe possibile pagare stipendi e pensioni, hanno provocato un’ondata di manifestazioni che si è conclusa solo a febbraio con la cacciata del premier Emil Boc, fedelissimo di Basescu. Minato dalle tensioni del Pdl, il successivo governo, guidato da Mihai Razvan Ungureanu, è rimasto in carica per meno di tre mesi prima di cadere su una mozione di sfiducia relativa alla privatizzazione del sistema elettrico.

In questo scenario di crescente sfiducia interna, abbandonato dai peones di un partito che solo sei mesi fa dettava legge in parlamento, con i fedelissimi estromessi dai vertici dello Stato, Basescu si trova a giocare la partita più difficile. E a Bucarest aumenta la pattuglia di quanti dubitano che, per attraversare indenne l’ennesima tempesta, il sostegno di Bruxelles e Washington possa essere più sufficiente.

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