di Elisabetta Rubini*
Insieme al livello di corruzione e di diffusa illegalità ed al
malfunzionamento della giustizia, la condizione dell’informazione
televisiva è una delle grandi anomalie che pongono l’Italia ai margini
del mondo occidentale. Vale la pena rammentare nuovamente la posizione
indecente che il nostro paese occupa in tutte le classifiche mondiali
sulla libertà e indipendenza dell’informazione.
I difetti del sistema
sono di assoluta evidenza, e ciononostante sono stati dal 1990 ad oggi
costantemente negati o almeno gravemente sottovalutati: mentre le regole
introdotte negli altri paesi europei sono evolute nel senso di una
sempre maggiore tutela della concorrenza e del pluralismo
nell’informazione, noi abbiamo conservato una televisione pubblica
monolitica e totalmente condizionata dalla politica, proprio in forza
del suo assetto istituzionale, ed una televisione privata in chiaro
monopolizzata da un unico soggetto, Mediaset, per di più di proprietà
dell’uomo politico che ha governato l’Italia nell’ultimo ventennio.
L’anomalia è talmente gigantesca che, come tutte le cose che paiono
troppo gravi per essere affrontate (almeno in questo paese), le si è
consentito di consolidarsi e di degenerare, divorando il tessuto
culturale dell’Italia. I principi affermati dai trattati europei e dalla
nostra Costituzione e che valgono in altri settori — la concorrenza, il
pluralismo delle fonti informative — sono stati aggirati e congelati
nel mondo dell’informazione televisiva, mediante l’introduzione di
leggi imbottite di affermazioni false e declamatorie ma in sostanza
sempre adesive rispetto all’assetto esistente del controllo delle reti
televisive, sia pubbliche che private.
Le autorità di settore, la commissione di vigilanza sulla RAI sono
stati, in tutti gli anni trascorsi dal fallito superamento del monopolio
pubblico sulla televisione, sotto il ferreo controllo delle maggioranze
politiche succedutesi, dal 1993 identificatesi con la proprietà del
monopolista della tv privata. Con il risultato, sotto gli occhi di tutti
gli italiani, che sia la tv pubblica che quella privata sono servite ad
alimentare un’informazione drogata, di parte, funzionale agli interessi
del potere politico ed alla sua preservazione.
E con l’ulteriore risultato che la tv pubblica, in quanto concorrente
della tv privata del padrone del paese, è stata indebolita e messa in
condizione di non nuocere e si ritrova oggi in condizioni di non
sostenibilità economica.
Quanto questo distorto e illegittimo assetto dell’informazione
televisiva sia cruciale per la parte politica che fa capo al
proprietario della tv privata emerge oggi con violenza nello scontro
sulla composizione del consiglio di amministrazione della RAI e sui
poteri del presidente indicato dal governo, Annamaria Tarantola.
L’obiettivo di risanare la RAI e di sottrarla, almeno in parte,
all’influenza dei partiti non rientra, evidentemente, nelle cose che il
PDL è disposto a tollerare, tanto da minacciare la stabilità del governo
Monti se esso verrà perseguito.
Alcune sere fa, nell’incontro milanese con Sandra Bonsanti e Gustavo
Zagrebelsky, il segretario del PD Bersani ha dichiarato che non ritiene
che funzione dei partiti sia quella di riempire istituzioni e società
con propri rappresentanti. Libertà e Giustizia è pienamente d’accordo;
così come sul fatto che il commissariamento della RAI sia meglio che la
ripetizione delle gestioni passate.
Tuttavia questo non basta: occorre riscrivere dall’inizio le regole che
disciplinano la RAI e darle un assetto istituzionale che ne garantisca
l’autonomia e la credibilità, oltre ovviamente alla sostenibilità
economica. Occorre ridare al servizio pubblico la funzione di servire
gli interessi dei cittadini anziché dei partiti politici o, peggio
ancora, dei concorrenti. Esistono in Europa esempi di disciplina delle
emittenti pubbliche dai quali si può imparare molto e facilmente.
Non basta ancora: occorre affermare con chiarezza, sulla base delle
infelici esperienze di questi anni passati, che nessuna concessione o
autorizzazione per l’emittenza televisiva può essere assegnata a
soggetti che svolgano attività politica o perseguano finalità
politiche. Altrimenti, l’indipendenza dell’informazione è pura chiacchiera.
Su questo, chiediamo a Bersani di impegnarsi: ridare al paese un assetto
dell’informazione degno di un paese civile.
*Libertà e giustizia