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“Pentito” di camorra si impicca nel carcere di Carinola, da inizio anno 31 detenuti suicidi

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di Osservatorio permanente sulle morti in carcere

Il suicidio di Carinola
Si è suicidato impiccandosi con i lacci delle scarpe nella Casa di Reclusione di Carinola, nel casertano, il “pentito” di camorra Angelo Ferrara, di 41 anni. Alle 11 di ieri mattina gli agenti della Polizia penitenziaria lo hanno trovato riverso a terra, senza vita, coi lacci stretti intorno al collo. Sul corpo, secondo i primi rilievi, nessun segno di colluttazione. La salma è stata trasferita presso il dipartimento di medicina legale dell’ospedale di Caserta, dove sarà effettuata l’autopsia disposta dal magistrato di turno.

Le dichiarazioni di Ferrara, nel 2008, avevano portato alla condanna di numerosi esponenti della camorra napoletana afferenti al clan Moccia di Afragola (Na). Posto in “programma di protezione” dalla apposita Commissione del ministero degli Interni si stabilisce con una nuova identità a Ronchi dei Legionari (Gorizia). Ma il 27 maggio 2009, con dei complici, compie una rapina alla filiale del Monte dei Paschi di Siena di Portogruaro (Ve) e nel settembre 2010 rapina altre due banche di Rimini: scoperto grazie alle immagini riprese dalle telecamere istallate negli istituti di credito si vede revocare il “programma di protezione” e finisce detenuto a Carinola, dove ieri appunto si è tolto la vita.

Il precedente suicidio nell’Istituto di pena di Carinola risale al 28 novembre 2010, quando ad impiccarsi fu il 53enne Rocco D’Angelo.

31 detenuti suicidi: 10 erano stranieri, il più giovane aveva solo 21 anni
Il più giovane dei detenuti che si sono uccisi aveva soltanto 21 anni (Alessandro Gallelli, morto il 14 febbraio nel carcere di Milano San Vittore), il più “anziano” 58 (Giuseppe Cobianchi, morto nel carcere di Milano Opera). L’età media dei detenuti suicidi è di 37,7 anni, 10 erano stranieri e 21 italiani, 3 le donne (Tereke Lema Alefech, morta a Teramo; Claudia Zavattaro, a Firenze e Alina Diachuk, a Trieste).

L’enigma delle morti per “cause da accertare”
I dati del Ministero della Giustizia sulle morti in carcere contemplano soltanto due “categorie”: i “suicidi” e le morti per “cause naturali” (oltre a quella degli “omicidi”, che fortunatamente sono eventi rari nell’attuale sistema penitenziario: 1 o 2 all’anno).

Tra le morti per “cause naturali” sono classificati anche i decessi causati da overdose di farmaci e droghe, da scioperi della fame portati alle estreme conseguenze, da “lesioni” di origine non chiara e su questo ultimo aspetto si concentra spesso l’attenzione della magistratura e dei media, basti pensare a nomi come Stefano Cucchi, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino…

“Suicidi” sono considerati quelli messi in atto con tecniche che non danno adito ad equivoci sull’intenzione auto-soppressiva, nel 90% dei casi l’impiccagione, raramente il taglio delle vene e l’asfissia. I decessi causati da inalazione di gas finiscono quasi sempre nel novero delle morti per “cause naturali”, poiché vengono attribuite ad un “errore” del detenuto, che avrebbe “esagerato” nello sniffare il butano a scopo stupefacente.

Quindi un tentativo di “sballarsi” che si conclude male… ed invero la pratica di inalare il gas delle bombolette da camping è diffusa tra i detenuti tossicodipendenti, ma negli ultimi mesi sono morte così persone che non avevano “problemi di droga”: da Giampiero Converso nel carcere di Busto Arsizio (ex appartenente alla ndrangheta, era collaboratore di giustizia), a Sandro Grillo nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto.

Casi perlomeno “dubbi” e spesso all’inchiesta della magistratura si aggiunge quella “interna” dell’amministrazione penitenziaria, ma in mancanza di prove certe dell’intenzione suicidaria (ad esempio un biglietto di addio scritto dal detenuto) si concludono nel solo modo possibile, con l’accertamento della morte “naturale”.

Il dubbio che abbiamo è che in Italia il numero dei suicidi in carcere sia sottostimato da sempre, “prove certe” non ne abbiamo, ma abbiamo individuale almeno un “indizio” che meriterebbe un approfondimento: negli ultimi 12 anni nelle carceri italiane sono morte più di 2.000 persone (di cui circa 700 per suicidio) e la loro età media (38,5 anni) è di poco superiore a quella dei suicidi (37 anni). Perché muoiono così tanti detenuti giovani e giovanissimi? Tutti per “sballo da gas”?

Teramo e Sulmona, le “carceri dei suicidi”
Il carcere dove nel 2012 si è registrato il maggior numeri di suicidi è Teramo (3 casi: Tereke Lema Alefech, il 29 giugno, Mauro Pagliaro, il 28 giugno e Gianfranco Farina il 2 febbraio).

L’Istituto di pena teramano (270 posti e 430 detenuti presenti), assieme a quello Sulmona (250 posti e 450 detenuti presenti) detiene il triste record delle morti violente tra i detenuti: negli ultimi 7 anni a Teramo si sono verificati 11 suicidi e 2 decessi per “cause da accertare”, mentre a Sulmona 10 suicidi e 3 decessi per “cause da accertare”. Per avere un termine di paragone nel carcere di Poggioreale, dove sono ristretti mediamente 2.000 detenuti, dal 2005 ad oggi sono avvenuti 7 suicidi e 3 decessi per “cause da accertare”.


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