Nigeria, 100 morti. Il Paese è sul baratro.
Il mondo non può stare a guardare

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Il gruppo terroristico Boko Haram pigia sull’acceleratore per spingere la Nigeria verso una guerra di religione tra islamici e cristiani. La partecipazione alla messa domenicale è diventata ormai un atto di coraggio per cristiani ed animisti nel paese più popoloso d’Africa, con i suoi 160 milioni di abitanti. Ogni settimana infatti arriva puntuale l’appuntamento con gli attentati alle chiese. Gli ultimi ieri che hanno causato più di 100 morti in totale. La strategia del terrore contro le chiese è partita lo scorso Natale quando 50 fedeli persero la vita in una tragica catena di attentati mentre erano riuniti in preghiera la notte del 24 dicembre per salutare la nascita di Gesù. E da allora Boko Haram non ha perso l’occasione di colpire senza pietà. Ormai sono migliaia le vittime. Nello stato federale di Plateau (al centro della Nigeria) teatro degli agguati di sabato e domenica, solo negli ultimi tre anni si contano più di mille morti.

Le origini di questo scontro sono antiche. In un’audiocassetta diffusa dalla televisione satellitare araba Al Jazeera nel febbraio 2003, Osama Bin Laden (allora leader di Al Qaeda) identificava Giordania, Marocco, Nigeria, Pakistan, Arabia Saudita e Yemen come “le regioni più qualificate per la liberazione”. Da sottolineare che l’Iraq spiccava clamorosamente per la sua assenza da questa dichiarazione.

Con sei anni di anticipo sulla nascita ufficiale del gruppo terroristico Boko Haram, il re del terrore identificava nel primo produttore di petrolio africano (il sesto al mondo) il paese che più di altri presentava le caratteristiche per una offensiva degli integralisti islamici. Come più volte è stato sottolineato dalla stessa Chiesa cattolica, lo scontro tra islamici da una parte e cristiani ed animisti dall’altra è frutto di una evidente disparità economica e di sviluppo tra il nord (a maggioranza musulmana) ed il sud (a maggioranza cristiana). Il sud è storicamente più ricco perché gli abitanti cristiani hanno sempre accolto lo sviluppo e le “novità” con quella apertura che manca agli islamici più tradizionalisti nemici giurati di ogni modernizzazione.

Ci sono ovviamente forti responsabilità delle autorità centrali che hanno preferito (e scelto coscientemente) di demandare a potentati locali le attività relative all’estrazione del petrolio, di cui le grandi società internazionali sono le beneficiarie assolute. Questa scelta ha ovviamente favorito la diffusione della corruzione e facili arricchimenti per piccoli strati della popolazione. La maggioranza della gente non gode dei benefici dell’oro nero e paga anzi un prezzo altissimo per quanto riguarda l’inquinamento ambientale che favorisce malattie e la morte dell’agricoltura, una volta fonte di reddito principale in quelle zone. che Non a caso l’obiettivo di Boko Haram è l’instaurazione nel nord della Nigeria della sharia, ovvero la legge coranica, che comporterebbe la diaspora dei cristiani costretti ad abbandonare anche i loro beni a favore della maggioranza islamica. Queste stragi domenicali rischiano di innescare una guerra civile, più grave di quella del Biafra che alla fine degli anni sessanta infiammò la Nigeria, con più di un milione di vittime. Gli scontri tribali aggravano inoltre la situazione. Si affrontano pastori nomadi ed agricoltori stanziali, in competizione per pascoli, acqua, campi coltivabili. Lo stato centrale sembra essersi liquefatto, incapace come si sta dimostrando di contenere la violenza. Il presidente cristiano Goodluck Jonathan ha nei fatti confessato la sua impotenza quando nei mesi scorsi ha denunciato pubblicamente le forti connivenze e legami tra i terroristi di Boko Haram e vasti settori di esercito, polizia, servizi segreti ma anche parlamento, governo e magistratura. Impunità per i terroristi che hanno portato la loro sfida aperta allo Stato quando sono riusciti ad organizzare la fuga (in stile cinematografico) di alcuni loro leaders arrestati. All’origine della escalation di violenza c’è anche il mancato rispetto degli accordi non scritti di alternanza alla guida del paese tra una leadership musulmana ed una cristiana. Goodluck Jonathan (sfruttando un cavillo legale) si è imposto non cedendo il passo al suo omologo musulmano. Ad aggravare l’esplosiva situazione c’è la miseria in cui vive la popolazione che sopravvive con meno di un dollaro al giorno, di fronte al concentramento della ricchezza nelle mani di pochissimi. Basta girare nei quartieri “bene” di Lagos, dove le vetrine dei negozi non hanno nulla da invidiare a quelle di New York o Londra con auto di lusso in esposizione. Pensate che la Nigeria ha il record in Africa per il consumo di champagne francese. Ma il costo della benzina alla pompa è “europeo” perché pur essendo la Nigeria il primo produttore nel continente nero non dispone degli impianti di raffinazione per cui è costretta ad esportare il greggio ed importare la benzina.

La Nigeria è sul baratro. La comunità internazionale non può stare a guardare e deve mobilitarsi per una migliore distribuzione della ricchezza per fermare la violenza.


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