di Sara Lovera
Decine di migliaia di persone, uomini e donne, in piazza a Città del Messico contro i risultati delle elezioni presidenziali che hanno dato la vittoria ad Enrique Peña Nieto, del Partito Rivoluzionario Istituzionale, PRI, tornato al governo del paese dopo una lunga stagione di potere durata dal 1939 al 2000.
Peña Nieto è accusato di aver comprato il voto dei poveri con buoni acquisto di una catena di supermercati, e la sua vittoria non è stata riconosciuta dal candidato del partito di sinistra, Partito della Rivoluzione Democratica, PDR, Andres Manuel Lopez Obrador, che ha presentato un ricorso per irregolarità e brogli.
A protestare in strada anche il movimento giovanile YoSoy132 che chiede alla comunità internazionale di non riconoscere Peña Nieto sin quando non saranno chiarite le irregolarità.
Sul fronte delle donne, il gruppo Mujeres en Plural e diverse organizzazioni femminili hanno presentato ricorsi al Tribunale Elettorale della Corte Giudiziaria della Federazione,TEPJF, per la verifica dei voti.Risultano al momento elette 176 candidate (in stragrande maggioranza del PRI) con una percentuale del 34% sul totale degli eletti: un balzo in avanti di sei punti rispetto al passato. Sara Lovera, da Città del Messico, ci racconta in diretta elezioni ed elette nel contesto della difficile sfida che si…
Protestano le organizzazioni femminili su diversi fronti e in diversi modi, anche attraverso procedimenti giudiziari presso il Tribunale elettorale della Corte Giudiziaria della Federazione (TEPJF), mentre i risultati della partecipazione delle donne al voto messicano segnano l’elezione di 176 candidate, 20 in più rispetto alla legislatura che sta per finire, circa il 34% del totale degli eletti, il che in termini numerici corrisponde ad un avanzamento di 6 punti.
In una democrazia, la partecipazione delle donne in pari numeri e condizioni dovrebbe essere naturale. Nei fatti, il mandato nei posti del potere decisionale ha pagato con un aumento delle elette ma lo sforzo del lavoro controcorrente ha lacerato il movimento delle donne in più di un’occasione. Le contraddizioni interne e la mancanza di chiarezza sulla cosiddetta “agenda delle donne”, anche di più. Essere femminista non è la stessa cosa che avere un posto per colmare una quota.
Adesso, la sfida è enorme: il ritorno del Partito di Stato, l’emergere di un movimento giovanile che mette l’accento su questioni che il movimento delle donne ha subito e a fondo affrontato (il comportamento dei media e il ballo delle indagini, per esempio), la povertà inaccettabile che ha prodotto questa vendita di voti all’ingrosso e l’incapacità dei partiti politici ad essere partiti e non agenzie di collocazione e promozione, hanno lasciato un cattivo sapore in bocca ed una certa impotenza contro una cultura che tutti, dico molti di coloro che stanno al potere, giustificano e già considerano come un male passato.
10 deputate si sono impegnate con l’agenda femminista, le altre rimangono per me un’incognita. La stragrande maggioranza delle elette sono del PRI che si somma al PAN e Panal.
La resistenza dei partiti a soddisfare la quota femminile del 40/60 nelle liste ad elezione diretta e una nelle plurinominali ha prodotto il fenomeno “filler”: molte delle candidate sono sorelle, cugine, amiche di infanzia degli uomini di partito. Le altre, liberali e vecchie lottatrici, hanno adesso un gran lavoro da fare: convincere queste nuove elette che il loro compito nelle Camere è fondamentale per il progresso delle donne. e di alta responsabilità per fermare lo smantellamento della democrazia.
E al Senato? Stimo che le elette siano circa 86 tra PRI e Partito dei Verdi; il pericolo è che seguano le orme di questi ultimi sei anni e vogliano promuovere leggi retrograde che erano state archiviate. Le donne PRI sono disciplinate storicamente, e sappiamo che Enrique Peña Nieto, arrivando a Los Pinos, dovrà rispondere della sua ideologia dell’Opus Dei che minaccia seriamente i nostri diritti e la nostra tradizione storica di laicismo.
Di quali donne parliamo?
Nel caso di Azione Nazionale – che per le questioni conservatrici è alleata al PRI e viceversa -, si parla di 29 elette. Con le colleghe PRI vorranno sicuramente controllare la Commissione Parità e Genere, le commissioni importanti per le donne come femminicidio, genere, popolazione, salute, educazione e anche la direzione del Centro per leadership ed il progresso delle Donne.
Le deputate progressiste elette, tra le quali troviamo una o due femministe, per esempio Amalia Garcia Medina, saranno circa 44: poco più della metà del PRI, il terzo numero se al PRI si aggiungono PAN, panaliste e verdi.
Avranno vita difficile. Anche perché nel caso del Fronte Progressista, gli uomini dei partiti che lo compongono sono duri, incuranti, indifferenti all’agenda delle donne ed esiste una corrente – forse dentro il PT – opposta a questioni urgenti quali la regolamentazione e la liberalizzazione dell’aborto, il traffico delle ragazze e delle donne, il fenomeno della violenza e il femminicidio. Il tentativo di minimizzarne l’impatto ha determinato la corrente che cerca di tipizzarlo, facendo sponda al governo statale di Peña Nieto, quando per ben 12 anni ha rifiutato di attivare l’allarme di genere e la manipolazione PAN, sminuendo cifre e dati reali degli omicidi di donne.
Non è finita qui. C’è ancora qualcosa che possiamo commentare, divertente ma vero, ed è che questi numeri sono proiezioni, i risultati potrebbero essere più magri di quel che sto dicendo per un insieme di fattori che lavorano a favore della retromarcia.
I partiti politici hanno fatto tutto il possibile per ostacolare l’elezione delle donne. Le hanno inviate in quartieri difficili e impossibili, hanno coperto le 120 promozioni elettorali, sperando che così perdessero molto. Insuperabile in questo, per esempio, il caso della delegazione Benito Juarez nel Distretto Federale: molte candidate di tutti i partiti ma in quel distretto ha poi vinto il PAN con un candidato uomo. Casi simili si sono verificati in tutto il paese.
Secondo i dati diffusi alla chiusura della conta dei voti distrettuali, le donne che hanno vinto nella maggior parte dei distretti o sono state assegnate o sono state (pre)selezionate, ecco le percentuali scorporate per partito: il cinque per cento nel PAN, il 25 per cento nel Fronte dei Partiti Progressisti (PRD-PT-MC), il 34 per cento nel PRI / PVEM.
l gruppo Mujeres en Plural si sta attivando per impugnare anche alcuni risultati, ci sono partiti che hanno raddoppiato le candidate delle donne, vale a dire l’hanno iscritte nelle liste uninominali e plurinominali, per fermare con questo sistema gli uomini che seguivano nella lista.
La giornalista Soledad Jarquín si è data il compito di individuare, con i dati disponibili, dove e in quali distretti le donne hanno vinto a maggioranza. Si tratta, come ho detto, di 87 elette, 60 del PRI / Verdi, 19 del Fronte Progressista, e 8 di Azione Nazionale. Nessuno del Panal che non ha vinto in nessun distretto a maggioranza.
Per quanto riguarda il Senato, non è ancora possibile produrre numeri certi perché tutto dipende da un gruppo di maggioranza, molto ristretto, e non abbiamo informazioni sulle senatrici di prima maggioranza e delle liste plurinominali. Alcune sono certe, come Alejandra Barrales dal Distretto Federale, o Diva Gastelum in Sinaloa.
Nel Distretto Federale abbiamo sei delegate e circa 25 membri nell’Assemblea, un passo avanti rispetto ai numeri del passato. La maggioranza delle elette è del Fronte Progressista, e questo alimenta grandi aspettative nel movimento delle donne, visto che la politica del Distretto Federale, dell’attuale e del prossimo presidente, prevede di approfondire i temi della tutela e difesa dei diritti fondamentali.
Per finire, aleggia tra le donne una diffusa sensazione di amarezza perché l’ aumento del numero delle elette è segnato dallo scenario che vede il ritorno alla presidenza del vecchio Partito di Stato, compromesso nelle peggiori decisioni sia economicamente che ideologicamente. Anche la vendita del voto, – che non è considerata un reato come non lo è la vendita del corpo -, è una profonda ferita al tentativo di sviluppare la democrazia in Messico.
Tocca analizzare a fondo la situazione, guardare lontano, pensare alla resistenza contro la stupidità, difficile arginare l’ondata profonda di violenza e illegalità, acconsentita e accettata come un destino ineluttabile. Le riforme cosiddette strutturali, l’abbandono della Riforma dello Stato, la prevalenza dell’impunità giustificata, i cartelli ancorati in posizioni di potere, la mancanza di conoscenza e, come una regina madre, il sistema educativo che marcisce…, non offrono prospettive alternative al paesaggio. Difficile.