Quali frasi storiche ci regaleranno la prossima settimana l’Ad della Fiat, l’elvetico-canadese Marchionne e il ministro del Welfare Fornero? Il primo ha già definito “folklore locale” la sentenza della magistratura contro di lui per il caso di Pomigliano dove la Fiat non assume un solo operaio iscritto alla Fiom-Cgil e se poi ne dovrà assumere, il suddetto Marchionne promette che ne metterà altrettanti in cassa integrazione. Frase sprezzante di sapore eversivo. Fin dove potrà spingersi nello scasso del diritto l’innovativo uomo del maglioncino? La seconda, Elsa Fornero, non lascia passare giorno (a parte quest’ultimo week-end, forse per la calura) senza segnalarsi in negativo.
Eppure il governo Monti si differenzia dal precedente per tante cose che sarebbe stucchevole elencare. Non tutti i suoi ministri sono dei tecnici del ramo (non lo è, per fare l’esempio più eclatante, il ministro per i Beni e le Attività Culturali che è ad un passo dal nullismo di Bondi). Ma quasi tutti lavorano in silenzio o comunque si esprimono con sobrietà e, vivaddio, proprietà di linguaggio. Il professor Giarda, è vero, insiste nel fare battute british che la più parte dell’aula parlamentare nemmeno coglie, ma le faceva già da sottosegretario nel governo Dini, i Lumbàrd non le capivano mai e si prendevano delle incazzature terribili, quindi la sua tenacia nell’ironizzare va apprezzata. Forse dovrebbe munirsi di un traduttore, o di un volgarizzatore portatile.
Invece, a carico del ministro del Welfare, Elsa Fornero, bisognerebbe che il premier Monti mettesse una tassa o un tassametro, un tot (pesante) a parola pronunciata, tariffa centuplicata ogni volta che la professoressa, col ditino alzato ad ammonire, si lascia andare a dichiarazioni improprie, sbagliate, imbarazzanti per tutti, ma soprattutto per l’esecutivo di cui fa parte. Già la materia che le è stata (forse improvvidamente) affidata, il lavoro o, ahinoi, il non-lavoro spesso, è sempre scottante. Se lei poi ci aggiunge – e ce lo aggiunge purtroppo – il carico da undici (quotidiano) di un termine o di una espressione sconsolatamente, inesorabilmente, e professoralmente però, fuori da ogni logica di prudenza politica e magari, come nell’ultimo caso, fuori dalla Costituzione, diventa una mina vagante. Anche perché, dopo, dobbiamo sorbirci la “sua” spiegazione. Che in modo piccato chiarisce, rettifica, puntualizza. Gentile ministro, no, dopo anni di incessanti berlusconate (enfatizzate dalla sua ridicola corte) che il responsabile primo qualificava in seguito come “malintesi”, come “non sono stato capito dai giornalisti”, abbiamo esaurito le riserve della nostra pur capiente sopportazione. I tecnici hanno il dovere di conoscere la tecnica della parola, del linguaggio, della comunicazione corretta, e magari scegliere di stare zitti o di parlare il minimo indispensabile. Si faccia delegare lei, professor Monti che, soprattutto in Europa, ha capito da tempo come si fa e che sa usare una sua lombarda ironia. Sì, lombardi e milanesi, prima della Lega Celtica, credetemi, erano ironici e gioviali. All’assemblea che ha eletto Roberto Maroni segretario campeggiava una scritta: “Italia di merda”. Ci hanno dovuto pensare un po’ di giorni, però poi agli autori è venuta di getto, un colpo di genio fulminante. Di cui andare orgogliosi nella “nuova era” maroniana.