La notizia per cominciare, “affogata” tra le mille altre, “targate” Bruxelles e Kiev. Una notizia che, tuttavia, riguarda molte migliaia di persone. Sapevano dei rischio portato dal sangue con valori fuori norma; sapevano che nel 40-50 per cento dei casi, quei valori equivalevano a una condanna tremenda: una malattia gravissima e debilitante
, nel migliore dei casi. Sapevano tutto molto bene, e per trent’anni hanno fatto finta di non sapere. E nulla hanno fatto anche quando lo scandalo finalmente era scoppiato, e avrebbero potuto disporre quei controlli che – almeno – avrebbero evitato che il sangue infetto usato per le trasfusioni provocasse vere e proprie epidemie di epatite e AIDS.
Sapevano. Potevano. Ecco perché sette direttori generali del ministero della Salute sono stati indagati dalla procura della Repubblica di Roma. L’imputazione parla di omicidio colposo e lesioni: perché fino al decreto sul sangue del 1990 e si sospetta anche dopo, non hanno fatto nulla, neppure una cautelativa e minima disposizione utile a informare sui rischi di contagio.
L’indagine ha preso le mosse da esposti presentati dall’associazione ITM New Day, che raccoglie le vittime del sangue infetto; in uno degli esposti presentati, si indicano precise responsabilità penali dei massimi vertici del ministero della Salute. L’associazione ha reso noti alcuni dati: oltre 120mila persone risultano contagiate dal virus dell’HIV e dall’epatite C. Almeno 4mila persone sono decedute.
Una strage. Una strage che si sarebbe potuto evitare, visto che da almeno il 1966 i ministri conoscevano i rischi derivanti dai mancati controlli sulle sacche di sangue. Proprio nel 1996 venne emanata una circolare, senza valore vincolante, che consigliava di distruggere le sacche con valori di transaminasi superiori alla media. E quando arrivano le norme vincolanti? 24 anni dopo, nel 1990. Secondo la procura, comunque anche negli anni successivi i dirigenti del ministero non avrebbero verificato costantemente che le norme fossero effettivamente applicate. Ci si dovrà tornare.
Per il momento ricordiamo che il tribunale di Firenze ha condannato il ministero della Salute a risarcire con 700 mila euro una ragazza di Arezzo che per una trasfusione di sangue infetto ha contratto l’epatite C. Ottima decisione, se non che il caso in questione risale al 1997, 15 anni fa. Una sentenza simile è stata emessa dal tribunale civile di Ancona; anche in questo caso condannato il ministero della Salute perché un paziente in seguito a trasfusioni di sangue infetto ha contratto i virus dell’HIV e dell’epatite C. Perché venisse riconosciuto il buon diritto di questo signore sono trascorsi ben 29 anni, nel frattempo è morto.
Anni e anni per vedersi riconoscere un diritto: quello della salute, che per sciatteria o peggio, è stata così pesantemente pregiudicata. Al momento sono più di 4000 le persone decedute per essere state infettate con sangue o suoi derivati immessi in commercio senza i doverosi controlli. Altre decine di migliaia vivono con una terribile spada di Damocle proprio perché, loro malgrado, vittime di malattie che accorciano la vita, producono sofferenze e le relegano ai margini della società. La cronaca quotidiana ci abitua a ogni sorta di crimine, ma questo del sangue infetto è uno dei più odiosi; ancor più odioso il fatto che le persone infettate debbano attendere anni e anni per vedersi finalmente riconosciuto il loro diritto C’è solo una parola: vergogna.