Secondo Amnesty International continuano ad arrestare persone e a trattenerle in strutture segrete. I prigionieri fuori dal controllo delle autorità nazionali sarebbero 4 mila. Lo scrive Roberto Zicchitella sull’ultimo numero di Famiglia Cristiana.
Sabato 7 luglio i libici vanno alle urne per le prime elezioni libere dopo gli anni della dittatura di Gheddafi. Ma nel Paese nordafricano la situazione non è per niente tranquilla. Pesano sul voto le tensioni etniche (la Cirenaica e le zone a maggioranza berbera reclamano una più forte autonomia) e una insicurezza diffusa.
Il titolo del Rapporto di Amnesty International pubblicato oggi è eloquente: “Libia: primato della legge o primato delle milizie?”. A maggio e a giugno una delegazione di Amnesty International ha visitato la Libia e ha verificato che centinaia di milizie armate continuano ad agire al di sopra della legge. In molti casi i membri di queste milizie si rifiutano di consegnare le armi o di arruolarsi nell’esercito e nelle forze di polizia.
Secondo Amnesty le milizie continuano ad arrestare persone e a trattenerle in strutture detentive segrete e non ufficiali. I prigionieri fuori dal controllo delle autorità nazionali sarebbero ancora 4 mila. Amnesty documenta anche i segni di recenti pestaggi e di altre violenze (alcuni assimilabili a vere e proprie torture) in 12 dei 15 centri detenzione dove ha potuto incontrare in privato i prigionieri.
A partire dalla fine di agosto 2011 sarebbero almeno 20 i casi di morte in custodia a seguito delle torture da parte delle milizie. «E’ assai triste che dopo così tanti mesi, le autorità non siano state complessivamente in grado di allentare la stretta mortale delle milizie sulla sicurezza del paese, con conseguenze drammatiche per la popolazione», afferma Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty.