Siamo ormai abituati ad accettare che lo sfruttamento nel lavoro agricolo, lo schiavismo diffuso siano la norma ma che ciò attenga solo ad alcune aree del meridione italiano. Ci siamo indignati e scandalizzati quando non abbiamo potuto voltare lo sguardo dall’altra parte dopo i fatti di Rosarno, di Castelvolturno, di Nardò. In molti hanno dato la colpa all’arretratezza del sistema di produzione, all’informalità dei rapporti di lavoro figli di un contesto economico in cui l’irregolarità è la regola.
Poi arriva una notizia di quelle destinate di solito a sparire e si scopre che a Castelnuovo Scrivia, in provincia di Alessandria, altri lavoratori e lavoratrici hanno deciso di non chinare la schiena e di esporsi. Raccolgono verdura, zucchine e pomodori soprattutto, per l’azienda Lazzaro, alcuni di loro sono anche ospitati in una specie di porcilaia in cambio, ovviamente delle pulizie. Circa 13 ore al giorno di lavoro, pagamento, un euro l’ora, acqua poca, strumenti, zero attrezzature e condizioni inaccettabili. Ma cominciano anche a non arrivare più neanche i magri stipendi, solo acconti di 50, 100 euro, quasi elemosine ottenute una tantum implorando o minacciando di fermarsi, ma poca cosa per poterci campare e nulla neanche rispetto al pattuito.
Peccato che chi lavora abbia imparato a difendersi, peccato che abbia trovato in quelle terre l’appoggio di associazioni antirazziste del territorio, forze politiche come il Prc e la Cgil. I 40 lavoratori impiegati sono entrati alcune settimane fa in presidio permanente e sapendo che rischiavano grosso: una parte di loro ha regolare contratto di soggiorno, altri sono classificabili come “espellibili”, come migranti illegali, ma hanno voluto lottare lo stesso, a viso aperto, rapportandosi con le istituzioni, in primis la prefettura, aprendo una trattativa con la CIA, e facendosi vedere pubblicamente, rompendo l’invisibilità. Teoricamente hanno vinto, il 6 luglio scorso, dopo 17 giorni di presidio e di sciopero, dopo tensioni, denunce (i manifestanti sono stati tutti identificati e accusati “violenza privata ed occupazione arbitraria di suolo pubblico e privato”) nonché sottoposti ad intimidazioni padronali, si è ripreso a lavorare.
Contratti regolari, riduzione dell’orario di lavoro e soldi che cominciano ad arrivare per i primi 26 lavoratori. Tutto solo all’inizio, dopo pochi giorni si è ricaduti nel normale sfruttamento: i lavoratori non vengono impiegati per le 39 ore settimanali da contratto, mancano acqua potabile e attrezzatura da lavoro come i guanti e le scarpe, vengono informati solo all’ultimo momento dei turni che debbono fare, si cerca di sostenere che non lavorano bene si attua insomma verso chi ha osato alzare la testa un vero e proprio mobbing.
Poi si è compiuto un ulteriore passo nelle violazioni degli accordi e dei diritti: l’Azienda Lazzaro, che ha affermato nei giorni scorsi di non avere abbastanza soldi per pagare gli arretrati ai braccianti, che ha sostenuto di non avere abbastanza ordini e commesse per far lavorare di più i 26 lavoratori riassunti dopo le proteste, ha assunto, mediante affido a cooperativa secondo un contratto i cui termini non sono ancora ben chiari neppure al sindacato, altri 13 lavoratori di origine indiana da una cooperativa di Brescia.
Lo ha fatto senza avvertire il sindacato, senza giustificare tale atto in alcun modo e violando gli accordi presi. Lo si è appreso solo dai braccianti del presidio e dal sindacato. Un gesto gravissimo, così come tutti quelli che lo hanno preceduto, tipici dell’arroganza di chi ha ridotto i suoi dipendenti in schiavitù, nel frattempo è stata aperta una inchiesta da parte della Procura di Torino, le indagini sono in mano a Raffaele Guariniello, un giudice che ha affrontato ben più alti potentati con successo. Ma nell’atteggiamento del sedicente imprenditore c’è’ un’arroganza inaccettabile, non si può far finta di nulla: ci interroga tutti e pone ancora una volta e con urgenza ancora maggiore, la necessità di monitorare severamente la situazione di tutto il settore agricolo e l’attività dell’Azienda in questione.
L’Assemblea dei lavoratori ha deciso di ricostituire il Presidio Permanente di fronte all’Azienda Lazzaro, e come dall’inizio di questa vicenda, c’è e ci sarà il sostegno ai lavoratori in lotta per i diritti. «Invitiamo tutti alla mobilitazione ed al sostegno attivo del Presidio, – dicono dal Prc e dal sindacato -non è la “loro” lotta , è quella di tutti» Dalla CIA provinciale e dall’azienda la reazione non si fa attendere e suona come arrogante!
Dichiarano che spetta agli imprenditori decidere le politiche di assunzione, parlano di strumentalizzazione nella crisi e chiedono di parlare in altra sede delle persone che lavorano al nero. Comodo per lor signori, comodo evitare che si faccia chiarezza anche nel ricco Piemonte su come funzionano i meccanismi di sfruttamento in agricoltura e certamente è ora che gli organi dello Stato competenti, prefettura compresa, se ne occupino con urgenza, anche per capire se si tratta di una sola azienda dedita allo schiavismo o se la pratica sia, come si teme, molto diffusa. Cosa che è dimostrata nei fatti dal boom di regolarizzazioni avvenuto negli ultimi 15-20 giorni nel tortonese, effetto probabilmente non solo del decreto annunciato dal Governo ma anche della lotta dei braccianti di Castelnuovo Scrivia.
Da venerdì 20 luglio è stato ricostituito il presidio permanente di fronte alle aziende Lazzaro e sabato 21 luglio mattina, i braccianti marocchini a cui è stato detto che il loro lavoro non serviva, si sono presentati nei campi della cascina Viscarda, tra Sale,Tortona e Castelnuovo, dove hanno lavorato fino a pochi giorni fa, ed hanno dapprima bloccato l’accesso ai campi-insieme a sindacalisti e compagni di Rifondazione- per i lavoranti della cooperativa di Brescia, poi li hanno lasciati entrare nei campi entrando insieme a loro, rallentandone il lavoro simbolicamente e soprattutto parlando con loro, per sottrarsi alla dinamica che l’Azienda Lazzaro ha cercato di innestare, quella della lotta tra poveri.
Dopo un paio di episodi in cui alcuni lavoranti indiani, timorosi del loro “capo”, hanno preso a ginocchiate alcuni lavoratori e lavoratrici marocchini, si è deciso di stare tutti dentro i campi e parlare con i lavoratori della cooperativa, spiegando loro che i braccianti ribelli non sono i loro nemici ma i loro fratelli e che quello che Lazzaro ha fatto ai braccianti marocchini oggi, lo farà a loro domani.. si è chiesto loro di riflettere su questo e a, pure tra bisogno e paura, si è avuta l’impressione che abbiano capito molto bene..tutto questo tra gli insulti e le minacce più o meno velate dei “padroni” e con grande movimento di Digos e carabinieri che hanno identificato tutti più volte, ed è probabile che partiranno nuove denunce per i migranti e per tutti i solidali che hanno fatto picchetto e che hanno invaso i campi. Ieri alle 12,15 (domenica 22 luglio) , in seguito alle vivaci proteste, è stata raggiunta una mediazione: sospensione momentanea dell’attività di raccolta per tutti, cooperativa inclusa (la proposta di far lavorare tutti, marocchini ed indiani, visto che ce ne sarebbe bisogno per terminare la raccolta dei pomodori, è stata respinta dai Lazzaro), bocce ferme da domenica alle 12,15 e si sta convocando un tavolo urgente in Prefettura ad Alessandria per vedere se sia possibile sbloccare la situazione.