Panico interno: che faranno Monti-Tarantola e Gubitosi-Fornero alla vecchia radiotivu trita soldi? E dove sono i soldi e gli sprechi da tagliare. Sotto a chi tocca.
Primo giorno di scuola. Comprendo lo sconcerto e la sensazione di insicurezza dei tanti, forse troppi, ex colleghi della Rai. Questa volta sono sbarcati i marziani. Quelli veri, più o meno come fu nei tempi lontani dei “Professori”. Non solo arrivano da un altro pianeta, ma pare abbiano anche un “Mission” precisa da parte del governo. Riportare la Rai alle regole di corretta gestione aziendale e dell’efficienza per produrre cultura e informazione di servizio pubblico. Il dubbio personale sui due assaltatori è se siano matti o soltanto inconsapevoli della portata della sfida. L’assaggio di Monti per l’Italia non rassicura. Malato grave, medicina molto amara. E non è ancora finita. Se lo stesso varrà anche per la Rai, il ministro Fornero rischia di apparire uno zuccherino senza che in Rai si sia mai affacciato un Landini. Del resto, se vale la regola del governo nazionale, ad ognuno la sua parte. Se è morta la concertazione, figurati la cogestione politica e sindacale invalsa sino ad oggi.
Assaggio zuccherino. Comunque, per la cronaca spicciola, la dottoressa Anna Maria Tarantola, neo Presidente, s’è presentata come previsto di buon ora. Risulta persona affabile ed estremamente cortese. Tailleur nero, parrucchiere un po’ meno estroso e con miglior risultato di quello di Lorenza Lei, e strette di mano a tutti nel suo giro per i diversi piani e per i diversi settori strategici. Col rischio che si ricordi pure i nomi. Diretta nell’approccio come la Merkel, e più simpatica di Elsa Fornero. Più come Monti a cui, caricature a parte, la Presidente somiglia pure di viso. Viene subito da immaginare lo stesso aplomb quando lui, Monti, annuncia altri tagli e sacrifici. Per la Rai siamo ancora alla pretattica: nuovo allenatore, nuovo preparatore atletico e squadra forse troppo datata. E anche qui, idea personale, non ci sarà Totti che tenga. O giochi e ti prepari, oppure panchina o cessione. Coi prepensionamenti incentivati, molte partenza possibili in vista. O sottoscala.
Mission impossible. Ma vediamo cosa dovrà presto scoprire la Presidente Tarantola e, da domani, il neo direttore Luigi Gubitosi. Intanto venire a capo non soltanto dell’astrusa organizzazione interna (altro che giretto mattutino per i piani di Viale Mazzini), ma i numeri veri. Per questo -puro spirito di servizio e di malignità- segnaliamo di seguito alcune incongruenze così come appaiono a noi neofiti di finanza. Anno 2007, direttore generale Claudio Cappon. Titolo giornalistico: «Alla Rai o si cambia o tagli». Poi si sa che, caduto il breve governo Prodi, anche in Rai arriva la finanza creativa alla Tremonti. Nel 2010, Mauro Masi, neo direttore generale della Rai annuncia con clamore il rosso di 118 milioni di euro previsto. «Un successo insperato, a fronte di un tendenziale di -245 milioni». Come festeggiare una sconfitta rispetto ad una batosta. Quelli erano numeri scritti sul “Piano industriale”. Lorenza Lei non ha avuto il tempo che di farci vaghe promesse..
L’elasticità dei numeri. Torniamo all’ex dg (per due volte), Claudio Cappon. «Alla Rai occorre un radicale cambiamento, puntando sul risanamento». La cura proposta si basava allora sulla razionalizzazione del capitale investito e degli assetti. «Non si ipotizzano tagli del personale regolarmente assunto, ma per puntare all’equilibrio dei conti si sceglie la strada degli incentivi ai prepensionamenti e un taglio drastico ai nuovi contratti a termine, accusati di portare l’azienda radiotelevisiva pubblica a una serie di cause legali per l’assunzione dei lavoratori precari». La Rai, disse allora Cappon, «rischia di registrare perdite per 494 milioni di euro nei prossimi tre esercizi, con la conseguenza che a quel punto non si potrà evitare quanto sta avvenendo in Gran Bretagna e Spagna » e cioè saranno necessari forti tagli anche all’occupazione. Con gli interventi previsti dal piano la Rai, in rosso nel 2007 e 2008, doveva tornare all’ attivo nel 2009 e 2010.
Finanza creativa Masi. Austerità e deficit ridotto anche per lo sprecone Mauro Masi che si presenta nel 2010 come tagliatore di teste. «Un piano industriale severo e impegnativo. Un migliaio di dipendenti da «incentivare in uscita». Massimo ricorso alle risorse interne, tagli ai costi esterni. Riassorbimento di alcune società esterne con conseguente scioglimento di consigli di amministrazione. «Drastica monitorizzazione sugli sprechi. Richiesta al governo per battere l’evasione del canone Rai, che nel 2009 è costato alla Rai quasi 400 milioni di euro». Applausi rispetto alle previsioni dell’ottobre 2009: 275 milioni di deficit a fine 2010, altri -100 milioni nel 2011 e 2012 per un totale di -600 milioni nel periodo 2009-2012. Risultati? Rosso di 118 milioni di euro nel 2010. «Un successo insperato, a fronte di una tendenziale di -245 milioni». In realtà, spiegano altri, «La Rai è affogata dai debiti verso società terze», sui 600 milioni di buco.
Dopo Bellimbusto arriva Lei. A fine 2011 scatta il Piano di Emergenza: tagli per 94,8 milioni di euro. Sono tempi di crisi anche per la tv pubblica, gravata da milioni di debiti. E sono tempi di tagli. Dalla vendita delle torri di trasmissione, fino al taglio delle redazioni estere, dalla cessione degli immobili al risparmio sui diritti tv del calcio. I primi ad essere colpiti sono i poco utilizzati corrispondenti esteri. «Ogni servizio delle reti di Stato richiede l’impiego di producer, montatore, operatore, a volte anche di addetto alle luci e fonico». Fine. Chiusure tagli. I superstiti e gli inviati rimasti, si appoggeranno alle strutture di un’agenzia estera di informazione che fornirà loro gli strumenti di lavoro. Anche Rai International, che cala dai 24 milioni del 2010 a soli 6,1 milioni del 2012 di finanziamento dalla Presidenza del Consiglio, chiude. Con televideo finiranno a Rai News 24 e Televideo creando «un polo all news» forte di 191 cronisti. Un anno e stanno ancora litigando.
Vendere l’invendibile. Il piano prevede pure la cessione di Rai Way, o almeno di una sua parte. La Rai è proprietaria di 1.515 terreni dove sono piantati i tralicci delle antenne di trasmissione tv. «Cessione delle sole strutture passive»: terreni e tralicci, appunto. Mentre la tv di Stato resterà titolare delle risorse “intelligenti” (antenne, pianificazione della rete, distribuzione del segnale). Il beneficio è stimato in 10 milioni, quello finanziario addirittura in 400-450 milioni. Ma stanno scorrendo i 16 mesi per arrivare «ad una gara pubblica europea». Duro colpo anche allo sport. Non sarà rinnovato il contratto con la Lega Calcio per il triennio 2012-2015. La Rai si limiterà a comprare, per la Serie A, i diritti delle azioni salienti delle partite. Diritti tv low cost, di quelli che si possono utilizzare a tarda sera. Finirà infine a fornitori privati il 70% delle riprese esterne per lo sport e, in generale, per l’intera programmazione. Lesina sugli inviati ma con tante eccezioni.
Tra bingo e roulette russa. Numeri sparati a casaccio con giochi di prestigio che riescono a fare diventare bilanci in pareggio anche con molte centinaia di milioni di debito bancario. Ora forse occorre tornare all’aritmetica come scienza esatta. Tagli sì, ma anche accorpamenti. Numero delle reti generaliste compatibili col digitale che ha decuplicato le offerte, numero dei telegiornali fotocopia, numero di redazioni, inviati, corrispondenti ad inseguire la stessa notizia salvo gli ammorbidimenti o gli irrigidimenti di parte pretesi da direttori che hanno editori di riferimento estranei all’azienda. La lottizzazione, per dirla in maniera meno etica ma più sostanziale, è un lusso (o una vergogna) che non possiamo più permetterci. Quindi, o basta, e subito, o sarà crac. E non ci saranno movimenti democratici di piazza per salvare un’azienda che non è stata in grado di risanarsi dalle sue vergogne. Non tutte per colpa e lascito politico. Confessiamolo in tanti. Confiteor.
* www.globalist.it