Ora zitti e lavorate. Litigano in consiglio di amministrazione sui poteri della neo Presidente e sull’assunzione del nuovo Dg. Troppi soldi -dice qualcuno- che li aveva invece concessi volentieri a Lorenza Lei. Per non parlare dei 750 mila dati al catastrofico Mauro Masi. Litigano i consiglieri nei corridoi per accaparrarsi le stanze migliori. Litigano dal mondo per conservare sedi e prestigio. Il consiglio di amministrazione poi, spiegano in Rai, ha votato il provvedimento in parti separate. Maggior potere di spesa, 6 sì e 2 astenuti. Per il potere di nomina dei dirigenti di primo e secondo livello nei settori non editoriali, 5 voti a favore e 3 astenuti. Il presidente Tarantola non ha preso parte al voto. Noblesse oblige ma, sempre e comunque, politica incombe. Anche se i due e poi tre tra i consiglieri eletti in Vigilanza dai parlamentari Pdl e Lega (manca il quarto), hanno avuto la cortesia di astenersi e non votare inutilmente contro. E ora si parte con la cura Monti-Fornero interpretata in Rai da Tarantola-Gubitosi.
Ogni inizio è difficile. Ma certi inizi sono mortificanti. Non abbiamo notizie sulle stanze attualmente occupate dall’ex direttore generale Lorenza Lei e sulla sistemazione del suo successore Luigi Gubitosi. Immaginiamo soltanto l’umiliazione e la rabbia di Anna Maria Tarantola e del vice Dg avvocato Comanducci a vedersi precipitati in simili beghe logistiche. Compresi i colpi di mano di alcuni consiglieri di amministrazione che volevano accaparrarsi, per anzianità, la stanza più spaziosa che fu di Curzi e poi di Rizzonervo. Con toelette privata annessa. Questioni che meriterebbero un commento molto volgare. Giù le mani dal cesso e pensate ad altro visto che la Rai è oggi nella cacca, tanto per stare in tema. Ma così si muove il mondo, anche quello Rai, disperso per il pianeta. Raffica di lanci di agenzia oggi sulla protesta dei miei ex colleghi corrispondenti esteri. Con diversi passaggi difficili anche per gli addetti ai lavori. Solidarizzo con loro ma non capisco. Certo colpa mia.
Chiudono cinque sedi estere. Sembra il necrologio a funerali avvenuti. Beirut, Nuova Delhi, Istanbul, Buenos Aires e Madrid, leggiamo da Il Velino, chiudono i battenti. Il 31 luglio, per l’esattezza con trasloco e rientro fatto. Ma non è questo che brucia, pare di capire leggendo le dichiarazioni del mio successore sindacale Alberto Romagnoli. Per il momento trascrivo: «Ci trasformeranno in “presidi” appoggiati presso l’agenzia internazionale Associated Press. E’ quanto previsto da una delibera del cda Rai del 29 novembre 2011. Un piano utile -in tempi di spending review- a risparmiare circa 17 milioni di euro l’anno, almeno a giudicare dalle carte dell’ex dg Lorenza Lei. Dieci milioni con la chiusura (attuata da aprile 2012) di Rai Corporation, della sede di New York e il licenziamento di 38 dipendenti. Altri sette milioni da risparmi dalle altre sedi di corrispondenza dove gli accordi con l’agenzia americana non costeranno più di 3-3,5 milioni l’anno». Messa così è difficile da contrastare.
Via sindacale o ricorso legale? Quesito ingenuo: “Ma non c’era una trattativa sindacale in corso suol tema”? Una sorta di “sperimentazione da sottoporre a verifica, aveva proposto il segretario Usigrai Carlo Verna. Accordo non firmato, notizia certa, e causa legale privata di alcuni, notizia incerta. Di fatto, o fai azione sindacale o fai azione legale. La somma è algebrica tra segni opposti. Uguale a zero. Se ne occuperà il sindacato o il giudice del lavoro? E per conto di tutti o solo di alcuni? Il sospetto viene dalla stessa agenzia: «L’highlander degli avamposti Rai nel mondo sarà Bruxelles. Dal primo agosto 2012, infatti, la tv di Stato avrà un solo ufficio di corrispondenza all’estero, quello diretto da Mariolina Sattanino. Le restanti 14 sedi saranno in parte chiuse (quelle già note) e in parte (Berlino, Pechino, New York, Parigi, Nairobi, Mosca, Londra, Gerusalemme e Il Cairo) costrette a ricorrere a service esterni rinunciando a costose sedi proprie. Dopo New York, Londra e Parigi in testa.
«La nuova formula non funzionerà», pronostica Alberto Romagnoli. Potrebbe anche accadere. Peccato che non vi sia più tempo per una sperimentazione dopo la rottura di ogni trattativa sindacale. Forse accadrà ciò che teme il fiduciario, «Ci trasformeremo in presidi in appalto e saremo privati di autonomia produttiva e editoriale. Inoltre la qualità del prodotto ne risentirà e dubito che si produrranno tutti i risparmi annunciati». Da parte aziendale, ufficiosamente, c’è chi sussurra di sedi estere modello ambasciata con costi fissi (affitto, luce, telefono, personale amministrativo e tecnico fisso) con un costo fisso di oltre il milione di euro anno. Se mai fosse verrebbe da arrabbiarsi (eufemismo) che ciò sia stato possibile sino ad oggi. Ma alla fine la questione rilanciata oggi risulta irrilevante rispetto ai problemi complessivi dell’azienda Rai. La nuova Rai, superato il dilemma stanze di Gubitosi-Lei, del bagno privato e del dove ricollocare a Roma 4 ex corrispondenti, forse troverà tempo per occuparsi d’altro.
Tornando alla cose serie. Nel frattempo il Cda si aggiorna proprio sulla partita chiave. I maggiori poteri alla Presidente auspicati dal premier Monti per tenere a bada il micro parlamentino consiliare. Nomine non strettamente editoriali (Reti e testate) sottratte ad ogni tentazione lottizzatoria per appartenenze, nomine tecnico amministrative tutte nella mani di Presidente e Direttore generale, ed aumento della indipendenza di spesa da 2,5 a 10 milioni di euro da parte della stessa Tarantola. La svolta “tecnica” voluta da Monti e temuta da tutti i titolari di privilegi interni. Il Consiglio attuale ha i numeri a favore della proposta Monti ma il tentativo pare quello di evitare di giungere, già dal primo giorno, ad una conta interna che avrebbe poi, almeno per la parte Pdl, anche dei riflessi politici in Parlamento. Quindi, ancora mediazione, prima di partire -dicono come razzi- a ridisegnare da subito la tecnostruttura. Agosto torrido quello che si prepara in viale Mazzini, con un autunno editoriale prossimo per direttori di reti e testate.