La recente sentenza della Suprema Corte sugli eventi del G8 di Genova stabilisce “la verità giudiziaria”: dirigenti, funzionari e agenti di polizia hanno commesso dei reati e per questo sono stati condannati. “ La verità ontologico/professionale” per la disfunzione del sistema “ordine pubblico” non è stata a mio avviso compiutamente affrontata.
In quegli eventi ( ferma restando l’assoluta condanna giuridico e sociale per il criminale e vile comportamento di black bloc e altri provocatori ) è stata fatta violenza non solo alla città e ai suoi cittadini, ai dimostranti irruenti o pacifici, ma anche all’Istituzione Polizia nel senso più nobile e alla generalità dei “tutori dell’ordine” che ogni giorno rischiano la vita per la libertà di tutti. I poliziotti condannati hanno non solo pagato nel modo più duro e umiliante i loro comportamenti, ma anche l’osservanza prona a un “sistema premiale” voluto dall’alto, capace di incidere spietatamente sui loro destini professionali e sulla vita e dignità delle persone. Un sistema che ( interpellanze 2-00761 e 00738 del 2005 di non pochi Senatori ai Ministri dell’Interno) ha favorito l’involuzione de “la legge 121/81 che è stata la più straordinaria riforma democratica avvenuta in Italia dal dopo guerra“ ( Della Porta-Reiter, Polizia e protesta, ed. Il Mulino 2003). Ho tentato vanamente di oppormi a quella spirale involutiva di cui i fatti di Genova, peraltro preceduti mesi prima da analoghi a Napoli, sono stati un corollario. Avrei potuto, per la specifica funzione svolta allora nell’ambito G8, essere inviato in quella città dove ho lavorato e che amo; ciò non avvenne. Quel tremendo 21 luglio da Roma scrissi a un Vicecapo della polizia: “in questi giorni è stata prodotta una lacerazione mai completamente sanabile tra polizia e cittadini”. Sono sconfortato. Conosco alcuni dei colleghi come validi investigatori come il curriculum oltre l’episodio dimostra. Loro sanno in coscienza quel che accadde. Il Direttore Generale della P.S. Manganelli afferma: “ è l’ora delle scuse”. Giustamente. Tardivamente anche se ha chiarito perché. Altri avrebbe dovuto farlo subito, forse per l’approssimazione gestionale dei servizi, la scelta degli uomini, le direttive date o non date, l’attitudine verso la Magistratura. Ma la “verità giudiziaria” è stata scritta. Ora che il sacrificio è compiuto chissà non possa esserci per loro una palese catarsi, come lo fu per il collega Fournier quando parlò di “macelleria messicana”. Sarebbe, oltre ogni sentenza, un momento prezioso di ripartenza per questa tormentata Polizia di Stato su cui si stanno intrecciando forse strani giochi. Una Polizia, e lo dico a ragion veduta, fondamentalmente sana che è tra le più professionali del mondo e che ha al suo interno le risorse umane e democratiche per “riprendersi” con onore. Per questo oggi più che mai c’é bisogno del contributo di tutti. Agnoletto chiede sul blog di Bebbe Grillo: “qual’é la formazione che avviene in polizia?”. La risposta rinvia all’accennato processo involutivo. Nella 121/81 noi volemmo che i riferimenti fossero la Costituzione e il “concetto civile” di sicurezza: altri l’hanno dimenticato. Un appello sul web vorrebbe che si proiettasse sulle reti RAI il film DIAZ ? Nulla questio; ma sarebbe opportuno che, come ho suggerito al produttore Procacci e al regista Vicari dopo avere visto soffrendo il film insieme a studenti, si aggiungesse alle frasi che scorrono alla fine anche questa: “ il film è dedicato alla città di Genova e ai suoi cittadini, a tutti coloro che hanno subito violenze e umiliazioni nella caserma Diaz e a Bolzaneto, alle loro famiglie, ai “tutori dell’ordine” che svolgono quotidianamente il loro lavoro nell’interesse della collettività e non dimenticano mai il rispetto assoluto per la “persona e i suoi diritti”. Da anni attendo giustizia per il “congedo d’ufficio anzitempo” che quel vertice dell’Amministrazione decise il I° maggio 2004 attraverso le numerose “non promozioni” in cui ben 700 funzionari di polizia più giovani d’età e di servizio via via mi scavalcarono, tra cui i colleghi ora condannati e allora inquisiti. Una vicenda per la quale Gino Giugni parlò di “mobbing” istituzionale. Viva la Polizia di Stato, viva tutti “i tutori dell’ordine” al servizio della collettività, della libertà e delle Istituzioni democratiche
* già ufficiale dei Carabinieri e poi funzionario della Polizia di Stato, tra i promotori negli anni’70 del Movimento democratico di Polizia