Non inattesa, ma inesorabile come la Parca, la ministra Fornero è arrivata in commissione lavoro al Senato e ha detto che la proposta di legge sull’equo compenso ai giornalisti precari e freelance la lascia “perplessa”. La legge, sollecitata a suo tempo dall’Ordine dei giornalisti, dalla Federazione della Stampa e dal Coordinamento dei precari, è stata presentata da tre deputati di destra,centro e sinistra, Moffa Carra e Giulietti; ed è stata approvata all’unanimità dalla commissione cultura della Camera “in sede legislativa”, avendo ottenuto per questa il parere favorevole del governo Monti. Nel breve tragitto da Montecitorio a Palazzo Madama, però, la norma dev’essere stata impallinata, perché non se ne parlava. Il discorso è ripreso, oltre che nelle sedi proponenti, all’assemblea di Articolo 21 giovedì scorso e al Quirinale venerdì, dove i giornalisti s’erano permessi di ricordarla al capo dello Stato, che a sua volta s’era permesso di ricordarla molto accaloratamente al Senato perché la rendesse definitiva. Come anche il presidente Schifani chiedeva. Ieri la perplessità della ministra in commissione lavoro. Preoccupati per lei e desiderando ridarle serenità, abbiamo ripassato i documenti. La norma chiede solo che editori e giornalisti contrattino un “equo compenso” per freelance e precari, che da anni lavorano per 2 o 3 euro a “pezzo” o 90-100 al mese. Più che di precariato sembrerebbe caporalato, dove la trista funzione di caporali spetta ai direttori, che chiamano al “lavoro”, per conto di editori a loro volta nella non abituale veste di agrari mafiosi o squadristi. Ad alcuni di loro, la nuova norma non sta bene. Preferirebbero arruolare bracciantato, come vedevo fare all’alba, sul sagrato della mia cattedrale dove avevano dormito, ai mietitori venuti dalla Puglia: chi s’accontentava di mezzo chilo di pane e mezzo litro di vino e aveva i bicipiti più forti, veniva preferito a chi pretendeva, per stare in piedi, un chilo di pane e un litro di vino. Ed ecco la ministra soccorrere, coi suoi “profili lavoristici”, gli agrari-editori. Dimentica dello stesso “sì” del suo governo, ha osservato che il problema dei compensi ai lavoratori atipici è già stato disciplinato nella sua Riforma del Lavoro. E dunque estrapolare dagli atipici una categoria atipica e regolamentarla con norma diversa da quella generale, sarebbe “strano”. Tanto più che, per farlo, bisognerebbe ipotizzare per quella categoria una violazione della norma generale da parte dei datori di lavoro. Mentre bisognerebbe ipotizzare sempre che la norma sia rispettata da tutti. Bisognerebbe. E se non succede? Duemilacinquecento anni fa, Aristotele ci ha spiegato il sillogismo dialettico. E’ quello che parte da premesse sbagliate e perciò sbaglia le conclusioni. E’ questo il vero scontro delle due culture oggi in Italia: la cultura politica, empiricamente attenta al senso comune (quando non è fatta da scalzacani), e la cultura tecnica, che, fuori da campi a lei noti, rischia il naufragio per fare l’ ”inchino” all’accademia.
* Pubblicato su Europa Quotidiano