E adesso lo Stato confermi di essere tale. E chieda scusa. Confermando di essere uno Stato di diritto, applicando le sentenze emesse nei confronti di qualsiasi cittadino. Anche di quelli che dovevano rappresentarlo, per ruolo e mandato, ancora meglio di altri. La sentenza della Cassazione che ha confermato le condanne per falso nei confronti dei vertici della polizia coinvolti nel pestaggio e negli arresti illegali dei no-global alla scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001 apre (obbliga) a questa strada. La sentenza conferma, nella sua lunga articolazione, nella parte più rilevante, per la cosiddetta “catena di comando”, quella emessa dalla Corte d’Appello di Genova il 18 maggio del 2010.
Adesso le vittime del pestaggio, potranno ottenere i risarcimenti dovuti e il ministero dell’Interno dovrà aprire i procedimenti disciplinari a carico degli imputati condannati, compresi quelli (reparto mobile e latri) per i quali i reati sono stati prescritti. I giudici della Quinta sezione penale della Cassazione hanno giudicato 25 agenti e funzionari della polizia per il pestaggio alla scuola Diaz di Genova, durante il G8 del 2001, di 60 no-global e gli arresti illegali di 93 no-global. La procura di Cassazione aveva chiesto la sostanziale conferma della sentenza di Genova.
La sentenza, tra gli altri, interessa vertici fondamentali dello Stato. Quelli del Dac (dipartimento anticrimine, Francesco Gratteri), dell’Analisi servizi segreti (Giovanni Luperi), dello Sco (Gilberto Caldarozzi) e vertici di questure importanti (Firenze), divisioni come la Polfer Piemonte e altri vertici dove erano stati promossi, negli anni dopo il G8, i funzionari e dirigenti inquisiti. La sentenza rende merito anche a quei giornalisti (molti free lance) che, di cultura e idea diversa, non sono venuti meno nei giorni del G8 e negli anni successivi, nonostante denunce e pressioni varie, al loro ruolo. Raccontando (e testimoniando per primi anche in sede giudiziaria) prima le violenze di piazza su ogni fronte e, poi, i relativi processi anche se alcuni aspetti (le violenze di una parte dei manifestanti, i Black bloc – ma non solo – sono rimaste del tutto insolute come le denunce per le violenze di appartenenti a forze di polizie diverse, avvenute in strada e mai ricostruite) restano senza esito.
La sentenza non deve fare gioire. Perché se da un lato segna l’indipendenza di chi, nei diversi ruoli, ha indagato e giudicato, dall’altro scrive la parola fine (giudiziariamente) su una delle pagine più brutte della storia repubblicana. Undici anni fa a Genova la democrazia e i diritti furono calpestati. Per anni i vertici istituzionali lo hanno, fatte salve alcune eccezioni, sempre negato con giustificazionismi inaccettabili. Una generazione fu cancellata dalla politica aprendo un vulnus pesantissimo nel rapporto di fiducia tra le istituzioni dell’ordine pubblico, la già malandata politica e i cittadini. La sentenza non deve fare gioire perché oggi, più di allora, deve fare riflettere e impegnare chi crede nel diritto e nei diritti, nella democrazia, in una riforma vera delle forze di polizia, della loro formazione, peggiorata nel corso degli anni e sempre più (ri) votata alla militarizzazione.
Sotto le divise non devono esserci dei “servi” o dei nemici, né agenti, carabinieri, finanzieri, devono vedere come tali chi manifesta in piazza. Un percorso lungo da compiere, mai aperto con convinzione. Ci rifletta la politica, ci rifletta chi insegue sempre in tema di voti elettorali, i temi di una malintesa sicurezza. Giustizia è fatta? Non del tutto e come tale resterà incompiuta.
Mancano molti tasselli. L’ex capo della polizia De Gennaro è stato assolto dalla Cassazione: è una sentenza (politicamente la valutazione solleverà critiche, ma è così) che va rispettata. Anche se il ruolo “politico” di De Gennaro quando era capo della polizia, resta nella sua interezza e responsabilità “politica”. Ma al rispetto di quella sentenza, oggi tutti uniscano il rispetto (e applichino) quella odierna. Adesso l’occasione per chiedere scusa, leggendo le sentenze emesse in undici anni di storia, c’è davvero e senza più alibi. Chiedere scusa per avere visto tradito il ruolo istituzionale, democratico, di fiducia, di diritti e di democrazia. Quella conferma di un’accusa di falso, a mio giudizio, è ancora più grave della violenza. E c’è poco da gioire nella storia, sofferente, dei diritti e delle regole, nel nostro paese.
* Segretario Associazione Ligure dei Giornalisti-Fnsi