«Troppe parole fanno male sia alle indagini che ai processi»; così il presidente del sindacato dei magistrati italiani, Rodolfo Sabelli, ha chiuso il suo lapidario giudizio sull’iniziativa del Quirinale che ha chiesto alla Corte Costituzionale di chiarire se i magistrati di Palermo abbiano leso le prerogative del Capo dello Stato, tra le quali spicca quella di non poter essere intercettato o sottoposto ad indagine.
Ed infatti parlarne in modo poco appropriato o tirando l’iniziativa del Quirinale verso questa o quella posizione politica, è più che mai fuorviante, soprattutto in questa occasione.
Perché il presidente della Repubblica si è mosso con chiarezza dentro un ambito costituzionale: chiede cioè alla suprema Corte di giudicare se un capo dello Stato, chiunque esso sia, si chiami Napolitano o in altro modo, possa essere intercettato anche di riflesso, cioè se sotto osservazione e registrazione sia l’interlocutore che ha chiamato il Quirinale. In questo caso andrebbe quindi scisso il quesito dall’occasione, cioè dall’indagine nella quale si colloca la registrazione: perché si tratta di un caso costituzionale, di limiti del potere del magistrato indagante di fronte alla suprema autorità dello Stato.
Sono casi che si sono ripetuti anche in altre nazioni. Giustamente il giudice De Lucia, in un incontro sulle stragi palermitane, in occasione di un bel documentario della Rai e degli studenti della scuola di cinematografia di Palermo, ieri ricordava il caso di François Mitterrand che si ribellò ad un tentativo di indagine nei suoi confronti da parte di un magistrato francese, non tanto per il merito di quella inchiesta, ma perché si toccava pesantemente una prerogativa dell’istituzione Capo dello Stato.
E’ quanto avvenuto in Italia con il ricorso alla Corte Costituzionale. Ma da noi tutto diventa diverso quando si tocca il tema della intercettazione, cioè la trattativa tra Stato e cosa nostra, vent’anni fa (perché si indaga così tardi, solo ora?). Non sappiamo e non vogliamo sapere i contenuti di un colloquio riservato tra Napolitano e l’ex ministro Mancino. Ma l’argomento su cui lavorano i magistrati di Palermo è delicatissimo: si tratta di quella trattativa tra organi dello Stato e mafia che si sviluppò tra la strage di Capaci e le stragi del 1993-94 e che coinvolse gli allora ministri degli interni e della giustizia, Carabinieri ad alto livello, uomini dei servizi segreti. Ed allora, poiché su quella vicenda, che ebbe vittime illustri tra i quali Paolo Borsellino, la sua scorta morta a Via D’Amelio 20 anni fa e le persone uccise in Via dei Georgofili o Via Palestro a Milano, si deve far luce per Verità e Giustizia, è chiaro che il lavoro dei magistrati palermitani va preservato ed allontanato da ogni sospetto o inquinamento o errore, per evitare che si posso bloccare il loro lavoro ed il loro tentativo di far luce su quei momenti bui.
Ben venga quindi la Corte Costituzionale a far luce su questo conflitto; ben venga il segreto su quelle conversazioni private; ben venga, se così sarà deciso, la distruzione di quelle intercettazioni; ben venga, in particolare, il lavoro dei magistrati palermitani che devono andare fino in fondo, nel rispetto della Costituzione, come loro stessi hanno detto nel comunicato della Procura di Palermo, ma arrivando a eventuali responsabilità.
Quindi niente polveroni, poche parole e ben calibrate. Quando si tocca il tema mafia e vittime di quelle stragi è necessario muoversi nei confini della legge, ma è anche necessaria la forza della chiarezza e l’approfondimento dell’inchiesta per non tralasciare alcun indizio o sospetto. Anche in questa vicenda sarà il lavoro altamente professionale della magistratura ad esser messo alla prova e ad allontanare sciacalli e tentativi di strumentalizzazione per colpire lo strumento delle intercettazioni, così utile alla lotta contro le mafie: siamo sicuri, conoscendo quei magistrati, che sapranno continuare il loro lavoro andando sino in fondo, nel rispetto delle prerogative costituzionali, dei cittadini che chiedono giustizia e del Capo dello Stato che guida il paese in questo momento così delicato.