“Non possiamo più rassegnarci né rimanere in silenzio, inerti, di fronte allo scandalo del coro verdiano del “Nabucco” storpiato e scempiato in inno secessionista da parte della Lega che anche nel suo ultimo congresso ha alzato l’osceno, vergognoso striscione “Italia di merda”…
Vogliamo dire basta e rilanciare da qui, con forza, la campagna mediatica per la “riappropriazione democratica e risorgimentale” del “Va’ pensiero” verdiano”. Questo l’impegno preso, tutti insieme, martedì sera dalla gradinata del Mausoleo dei caduti per la difesa della Repubblica Romana del 1849 al Gianicolo nella serata in cui si ricordava la conclusione, col voto della Costituzione, di quella avanzata Repubblica che aveva scalzato il papa-re.
Alla bella manifestazione meritoriamente promossa ogni 3 luglio da Enrico Luciani presidente dell’Associazione Amilcare Cipriani (eroe dei Mille e della Comune di Parigi) e del Comitato-Gianicolo, la banda di Testaccio diretta dal maestro Silverio Cortesi e il coro della Scuola di Testaccio guidato con competente passione da Giovanna Marini hanno eseguito canti garibaldini e risorgimentali, entusiasmando il pubblico. C’è stata inoltre una rapida quanto incisiva illustrazione della illuminata Costituzione della Repubblica Romana che sanciva la laicità dello Stato, il pluralismo e il rispetto delle fedi religiose, la parità di diritti dei cittadini (per la prima volta votarono e furono eletti deputati e consiglieri comunali, ebrei romani), l’abolizione della pena di morte, ecc.
Costituzione che venne ripresa in più punti, con intelligenza politico-giuridica, dai costituenti del 1946-48, ha spiegato in modo esemplare il prof. Daniele Arru. Poi la banda e il coro della Scuola Popolare di Testaccio hanno suonato e cantato, in modo emozionante, “Va’ pensiero” nella versione libertaria di Pietro Gori che termina con: “Date fiori ai ribelli caduti, al veggente poeta che muor”. E quel poeta è il ventiduenne Goffredo Mameli sepolto lassù sul Gianicolo insieme a centinaia di giovani, di ragazzi di 20, 18, persino 14 anni, accorsi, magari coi padri, a difendere la Repubblica Romana, in prevalenza emiliano-romagnoli, lombardi e romani.
Come quell’apprendista maiolicaro di 18 anni, Antonio Cotogni detto Toto, cresciuto al San Michele, che doveva poi diventare uno dei più grandi baritoni della storia del melodramma, scelto da Verdi per il suo “Don Carlo”, nel 1867. Quando Cotogni smise di cantare (dopo aver interpretato ben 157 ruoli da protagonista o co-protagonista), insegnò a Santa Cecilia avendo per allievi alcuni talenti strepitosi quali Lauri Volpi, Gigli, Stabile, Franci e quel Titta Ruffo ricordato come il più grande Rigoletto dell’epoca, ma anche come fiero antifascista. Cognato di Giacomo Matteotti, ne portò a spalle il feretro dopo l’attentato e l’assassinio del 1924 ad opera di una squadraccia mussoliniana. Schedato come “sovversivo” e arrestato, andò esule non cantando mai più in Italia fino alla Liberazione. A lui evidentemente “Toto” Cotogni aveva trasmesso, oltre alla tecnica vocale, i propri spiriti garibaldini.
Applausi per tutti, martedì sera al Gianicolo, commozione e spirito di festa. “Spirito patriottico, e quindi per niente nazionalista”, è stato giustamente precisato. “Incredibile”, ha esclamato simpaticamente, più volte, il prof. Corey Brennan, premiato, fra battimani scroscianti, quale direttore uscente dell’American Academy che molto ha collaborato alla ricostruzione dell’itinerario garibaldino del Gianicolo (gli Stati Uniti, ha ricordato Luciani, furono il solo Stato sovrano a riconoscere la Repubblica Romana del ‘49). Dal Gianicolo la “riappropriazione di “Va’ pensiero” è dunque partita con rinnovata forza da parte del Comitato per la Bellezza, dell’Associazione Amilcare Cipriani, di Articolo 21 e di tante altre sigle. Il prossimo appuntamento è per l’autunno.