Nella serata del 3 luglio si è conclusa alla Farnesina, ben oltre l’orario previsto, la ventiduesima riunione del Gruppo Internazionale di Contatto (ICG) per la Somalia sotto la presidenza dell’inviato speciale dell’ONU Augustine Mahiga e dei copresidenti di Norvegia e Stati Uniti. Per l’Italia presenziava lo stesso Ministro Giulio Terzi con l’assistenza dell’ambasciatore per la Somalia Andrea Mazzella e la Somalia era rappresentata dal Primo Ministro Abdiweli Mohamed Ali, dallo speaker del Parlamento di transizione (ripetutamente sfiduciato dai parlamentari) Sharif Hassan Sheikh Aden nonché dai rappresentanti del Puntland, del Galmudug e di Ahlu Sunna Wal Jama’a, l’organizzazione multiclanica e multiregionale che governa alcune aree del paese.
La riunione dell’ICG seguiva di pochissimi giorni altri due eventi di rilievo per la Somalia: l’approvazione a Nairobi, lo scorso 22 giugno, della bozza della nuova Costituzione che dovrà successivamente essere sottoposta all’approvazione provvisoria dell’Assemblea Costituente di imminente formazione e la Seconda Conferenza pubblico-privato sulla pirateria conclusasi a Dubai lo scorso 28 giugno.
La road-map
Il comunicato finale dell’ICG dà conto di entrambi questi eventi e delle altre due conferenze internazionali di Londra e Istanbul che hanno preceduto l’incontro di Roma ribadendo l’impegno di mantenere le scadenze adottate per assicurare il varo di nuove istituzioni in sostituzione di quelle di transizione che dal 2004 reggono le sorti del paese.
La road map adottata prevede, infatti, l’apertura (12 luglio) e chiusura (20 luglio) dell’Assemblea Costituente; la selezione (15 luglio) e istituzione (20 luglio) del nuovo Parlamento federale con l’elezione del nuovo speaker e dei deputati entro il 4 agosto per culminare il 20 agosto con l’elezione del Presidente della Repubblica. Queste istituzioni, i cui componenti deriveranno a cascata dalle scelte degli Anziani delle varie tribù, resteranno in carica quattro anni nell’auspicio di poter poi procedere ad elezioni a suffragio universale per le quali ancora non sussistono le condizioni mancando la sicurezza in tutto il Paese e perfino un’anagrafe dei cittadini.
Le sfide da affrontare
Il comunicato finale dell’ICG elenca i vari punti critici che le nuove istituzioni dovranno affrontare a cominciare dalla sicurezza ed elogia le truppe di AMISOM e quelle del governo di transizione per i risultati conseguiti nell’ultimo anno e mezzo di lotta al gruppo qaedista di Al Shabaab.
AMISOM, anzi, in adempimento della risoluzione dell’ONU 2036, verrà rinforzata con truppe di Gibuti, Kenya (già presenti dall’ottobre scorso nel sud del Paese), Nigeria e Sierra Leone sollevando, tuttavia, non pochi problemi di coordinamento.
In particolare, nel corso della riunione, l’ICG ha assistito alla firma da parte di Hussein Arab Isse (Vice Primo Ministro e Ministro della Difesa del TFG) e di Agostino Mahiga di un Piano d’azione per redimere i minori sin qui associati alle Forze Armate.
Altro tema complicato per il nuovo esecutivo sarà il governo del territorio che si sposa col tema del federalismo sul quale non tutti i somali sono d’accordo. Occorre considerare che la Somalia ha un territorio doppio dell’Italia, oltre 3.000 Km di coste ed una popolazione di meno di dieci milioni di abitanti divisi in 18 regioni. Riconciliazione, stabilizzazione, infrastrutture e coordinamento con le amministrazioni locali sono le sfide da affrontare anche proseguendo l’apprezzabile lavoro già svolto in zone come il Somaliland, il Puntland, il Galmudug e le regioni sotto l’organizzazione di Ahlu Sunna Wal Jama’a. Su questo argomento l’Italia ha proposto il documento District-Based Peace-Building che potrebbe fornire una fonte di ispirazione per i programmi futuri del nuovo governo somalo.
Una particolare attenzione è stata dedicata dall’ICG alla giustizia auspicando che questa raggiunga standard internazionali e adotti la tutela dei diritti umani, l’accesso facilitato delle donne e dei gruppi vulnerabili, il dialogo con la società civile e l’erogazione uniforme dei servizi legali anche nei nuovi territori liberati dagli Shabaab.
Non tutti sono d’accordo: dalla Turchia alla diaspora somala
Nonostante l’unanimità del comunicato finale, non sono mancate voci autonome all’interno dell’ICG.
L’intervento della Turchia alla Conferenza è sembrato, infatti, in controtendenza. La Turchia ha dichiarato che intende proseguire autonomamente la sua politica di sostengo alla Somalia che la vede già operare per la ricostruzione delle strade, degli ospedali e delle scuole ed è attiva nella formazione dei quadri militari e di polizia con propri istruttori. Ha chiesto che le truppe di sostegno divengano a tutti gli effetti direttamente truppe ONU (in modo da potervi partecipare direttamente) e che si adotti entro sei mesi una exit strategy per le truppe africane di AMISOM. La politica della Turchia in Somalia è da circa un anno assai pragmatica e decisionista rispetto alla comunità internazionale, evidentemente in reazione al raffreddamento del suo processo di integrazione nell’UE.
Anche gli interventi di Giappone ed Etiopia sono apparsi perplessi: il primo circa la possibilità di rispettare la scadenza del 20 agosto per porre fine alle istituzioni di transizione ed il secondo sulla possibilità che effettivamente la Somalia superi l’instabilità che vi regna da 22 anni. In entrambi i casi, tuttavia, potevano leggersi gli effetti negativi di una stabilizzazione del Paese del Corno d’Africa. Da una parte, infatti, verrebbe meno l’attuale libertà dei pescherecci nipponici nelle ricche acque dell’Africa Orientale e, dall’altra parte, appare evidente la preoccupazione per il confine con una Somalia rafforzata.
A margine dell’ICG, inoltre, si è sviluppato l’intervento critico verso la comunità internazionale da parte della diaspora somala in Italia. Le varie associazioni si sono riunite lo scorso 30 giugno presso la sede di Intersos e già i temi all’ordine del giorno lasciavano trasparire forti preoccupazioni. Gli accenti posti sulla necessità di parità tra i candidati, sul loro livello di istruzione almeno superiore, sulla parità di accesso ai principali media nazionali, sulla corretta individuazione degli Anziani di ciascuna tribù, sul divieto di utilizzo delle risorse pubbliche per finanziare le singole campagne elettorali; l’interrogativo sull’ammanco nei fondi pubblici di 130 milioni di dollari suscettibile di alterare l’imparzialità delle elezioni, la necessità di individuare preventivamente un arbitro per i prevedibili conflitti elettorali, il timore del mancato rispetto delle quote rosa al 30%, la contraddittorietà della regola clanica “4.5” rispetto alla democrazia, la cittadinanza ai figli nati da donne somale in coppie miste, lasciano chiaramente intendere quali siano i punti cruciali che allarmano i somali in diaspora in Italia rispetto alla resurrezione della Somalia discussa nell’ICG.
Eppure, ad esempio, la bozza di Costituzione sottoscritta lo scorso 22 giugno a Nairobi è fondata proprio sulla regola “4.5” (parità nelle istituzioni dei membri appartenenti a ciascuno dei quattro clan principali e la metà per l’insieme delle minoranze). Inoltre, il progetto costituzionale adottato ammette come unica religione l’Islam e fa divieto di professione di altre religioni. Stabilisce, inoltre, che la Sharia è la prima legge cui ogni altra (quindi anche la Costituzione) dovrà uniformarsi pena l’illegittimità.
La scomparsa dei “diritti umani”
Resta un mistero come di un simile risultato abbia potuto dirsi “Molto soddisfatto” il rappresentante speciale di Ban Ki-moon per la Somalia Augustine Mahiga. E gli standard internazionali della giustizia con la tutela dei diritti umani cui inneggia il comunicato finale dell’ICG, dove sono nella nuova Costituzione somala?
I firmatari a Nairobi di quella bozza erano gli stessi presenti a Roma, ma la discrasia tra il testo costituzionale ed il comunicato finale dell’ICG è stridente. Se alla base della Costituzione si mette la religione – e non il lavoro o la dignità umana – sappiamo bene che si finirà in bocca ai corvi.
E’ vero che il testo di una bozza si può sempre migliorare, ma non sembra possibile un revirement così radicale come auspica il comunicato dell’ICG.
E allora, dove va la Somalia, nonostante il pressante intervento della comunità internazionale e sotto la conduzione determinante dell’Ambasciatore Mahiga?
E’ peraltro accaduto all’inizio dei lavori che Augustine Mahiga abbia interrotto bruscamente il Ministro Terzi per non far parlare il Primo Ministro Somalo Abdiweli mettendo in imbarazzo il Ministro italiano che è dovuto intervenire per restituire la parola ad Abdiweli senza che il ruvido Mahiga ritenesse di scusarsi. Se questi sono i comportamenti sotto i riflettori romani, si comprende quale possa essere quello sotto i riflettori africani: si firmano carte senza alcuna coerenza cambiandone radicalmente il senso a seconda che il palcoscenico sia “interno” o internazionale.
*L’autrice è fondatrice dell’associazione Migrare www.migrare.eu