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Verso la Rai normale

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Non ho mai avuto dubbi sul fatto che qualsiasi fossero stati i nomi decisi dalle associazioni alle quali il segretario del Pd si era rivolto per l’indicazione di due personalità da votare nel cda della Rai vi sarebbero state divisioni e giudizi contrastanti.
Tralascio le critiche più banali (come «adesso Pippo Baudo può aspirare alla guida di una procura della repubblica» e simili) e mi limito a considerare l’obiezione che molti hanno fatto in queste ore: Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi sono senz’altro due ottime persone, di spessore, sicuramente indipendenti ma non hanno alcuna competenza nel settore radio-tv.
Anche il mio amico Gad Lerner, con il quale per una volta non sono d’accordo, ieri ha affidato a un tweet il suo dissenso: li stimo, ha detto in sostanza, per la loro integrità e autorità morale, ma quei nomi andrebbero bene per un comitato etico dei garanti o un comitato dei saggi, non per amministrare un’azienda come la Rai. Il punto controverso, dunque, è la mancanza di competenze specifiche. Lo ripeto, non sono d’accordo e questa mia convinzione deriva innanzi tutto dalla mia esperienza personale in Rai: ventiquattro anni da giornalista e dirigente e sette lunghissimi anni, dal maggio 2005 sino alle mie dimissioni irrevocabili, decise in totale autonomia nel gennaio di quest’anno, da consigliere di amministrazione.
Rispondere che entrambi, Colombo e Tobagi, sono due intellettuali e pertanto non dei marziani nel settore dell’editoria e della comunicazione sarebbe, infatti, fin troppo facile così come chiedere perché Gherardo Colombo, al quale è stato riconosciuto un profilo adeguato per fare il presidente di un’importante società editrice privata (la Garzanti), non sarebbe, però, idoneo ad assumere l’incarico di consigliere di amministrazione di una società editrice pubblica.
La questione è un’altra. Anche con le modifiche statutarie prefigurate dall’azionista, il vero capo azienda continuerà a essere sempre il direttore generale e, vista la scelta che si profila con l’ex amministratore delegato di Wind, ricordo che in passato ottimi direttori generali sono state anche persone prive di una specifica esperienza professionale nel settore radiotelevisivo, ma con solide capacità manageriali; penso ad esempio a Pierluigi Celli o a Claudio Cappon. Il compito più importante del nuovo consiglio di amministrazione sarà, innanzi tutto, quello di ridare una bussola all’azienda, recidendo il legame perverso con i partiti, che la Gasparri ha rafforzato e che è stato il principale fattore di inquinamento della televisione italiana e della stessa politica anche nella cosiddetta seconda repubblica.
Al consiglio non spettano le decisioni sul singolo programma o sul singolo conduttore ma competono funzioni, secondo me, ben più importanti: difendere la libertà e l’autonomia dell’impresa e dei suoi professionisti; credere nel mercato e nella concorrenza, garantire il corretto adempimento delle finalità e degli obblighi del servizio pubblico e creare le condizioni per realizzare una televisione e una radio di qualità scegliendo, questa volta sì, le migliori competenze professionali in campo.
Uno dei periodi più felici e creativi della Rai non fu determinato dalle competenze specifiche dei suoi consiglieri di amministrazione, ma dalla professionalità e dall’autorevolezza dei direttori di rete e testata (Gustavo Selva, Livio Zanetti, Aldo Rizzo, Sergio Zavoli alla radio; Emanuele Milano, Massimo Fichera, Angelo Guglielmi, Emilio Rossi, Sandro Curzi, Andrea Barbato, Albino Longhi, Antonio Ghirelli, Alberto La Volpe in televisione, per citarne solo alcuni).
Il vero scandalo della Rai di oggi non è tanto che Carlo Freccero non sia stato indicato come consigliere di amministrazione ma che Carlo Freccero non sia da anni direttore di una delle tre reti generaliste! Bisogna con onestà ammetterlo: spogliandosi del potere di indicare i “suoi” nomi per il cda della Rai, Bersani ha avviato la rottura del connubio politica-televisione e ha aperto la strada, ormai senza ritorno, per una seria modifica della legge Gasparri da realizzare all’inizio della prossima legislatura. Se martedì tutti i consiglieri nominati dalla commissione parlamentare di vigilanza avranno le stesse caratteristiche di estraneità ai partiti che hanno Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, la Rai potrebbe cominciare ad assumere finalmente la fisionomia di un’azienda normale, a dispetto della stessa Gasparri. Ma temo che la sfida non sarà raccolta.


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