di Emma Mancini
Assad: “In stato di guerra”. Ieri il presidente Bashar Al Assad ha parlato chiaro: “La Siria è in stato di guerra. Tutte le nostre politiche e i nostri sforzi devono essere volti ad assicurarci la vittoria”. Il messaggio diretto al suo governo ancora più cristallino: spezzare le gambe alle opposizioni anti-regime, ormai giunte al loro 16esimo mese di rivolta interna.
Insomma, Bashar sembra non voler cedere di un passo, mentre il sangue continua a scorrere per le strade delle principali città siriane, la capitale in primis. Un’ostinazione che gli Stati Uniti giudicano “disperata”: “Chiaramente, Bashar Al-Assad sta lentamente perdendo la presa del suo Paese – ha risposto a caldo Jay Carney, portavoce della Casa Bianca – Vorrei sottolineare che le recenti defezioni di alti membri dell’esercito siriano, scappati in Turchia e Giordania, sono un’altra prova della perdita di controllo da parte del regime”.
Da parte sua la Russia insiste sulla necessità di coinvolgere l’Iran, stretto alleato della Siria di Bashar e l’unico potere – secondo Mosca – a poter davvero influenzare il regime e condurre ad una soluzione diplomatica di quella che ormai appare come una vera e propria guerra civile.
Raid armato alla tv di Stato. Questa mattina, la tv di Stato siriana, Ikhbariya, è stata presa d’assalto da un commando armato. Gli attentatori hanno posto esplosivi nel quartiere generale dell’emittente, a Drousha, circa venti chilometri da Damasco. Le esplosioni hanno distrutto gli studi e gli uffici e hanno ucciso almeno tre impiegati. L’emittente nazionale non ha comunque interrotto le trasmissioni.
Un attacco che arriva a poche ore dalla dichiarazione del presidente Bashar Al Assad, forse una reazione alla promessa del regime a reagire con tutti i mezzi possibili alla crisi interna. E a due giorni dalle nuove sanzioni imposte dall’Unione Europea al regime siriano e che hanno colpito anche la tv di Stato.
Turchia-Siria: Erdogan invia le truppe al confine. Reazione immediata anche quella di Ankara, dove il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ordina il dispiegamento delle truppe al confine con la Siria: secondo fonti giornalistiche si tratterebbe di 15 tank corazzati e numerosi veicoli militari.
A gettare ulteriore benzina sul fuoco di rapporti ormai logori tra Ankara e Damasco, è stato lo scorso venerdì l’abbattimento da parte della difesa aerea siriana di un caccia Phantom F4 turco. Oggi Erdogan ammette: il caccia volava nello spazio aereo siriano, ma solo per breve tempo e soltanto per un azione di addestramento.
“La Turchia eserciterà i propri diritti – ha detto Erdogan, definendo quello siriano un atto ostile – e prenderà le misure necessarie”. Ovvero, come spiegato dal premier, la Turchia è pronta a rispondere militarmente a qualsiasi tipo di minaccia. Erdogan ha dato istruzioni all’esercito turco perché consideri ogni unità militare siriana come minaccia bellica: “Le regole di ingaggio sono cambiate. Tutte le unità militari siriane che si avvicineranno al confine con la Turchia, rappresentando un pericolo per la sicurezza, saranno considerare target militare”.
Nato: “inaccettabile” l’abbattimento del caccia turco. Subito dopo l’abbattimento del caccia, Ankara aveva chiesto un meeting d’emergenza della Nato, chiamata a rispondere a seguito di un’aggressione ad uno degli Stati membri.
Nell’incontro di ieri a Bruxelles, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, ha espresso a nome della Nato “solidarietà e sostegno alla Turchia. Consideriamo quest’atto inaccettabile e lo condanniamo con forza. È un altro esempio della mancanza di rispetto che le autorità siriane hanno per la pace, la sicurezza e la legge internazionali e per la vita umana”. Una dichiarazione che si ferma però a parole di solidarietà: la Nato non sta pensando ad un suo coinvolgimento in un eventuale attacco armato contro la Siria di Bashar.