Riaperta, trent’anni dopo, l’indagine sull’omicidio del segretario regionale del Pci Pio La Torre e del suo collaboratore Rosario Di Salvo, uccisi a Palermo il 30 aprile 1982. Lo ha deciso la Procura del capoluogo siciliano, che ha raccolto gli appelli lanciati da intellettuali e giuristi sui possibili mandanti esterni del delitto. I magistrati però vogliono anche approfondire una circostanza precisa, riguardante cinque professori universitari, che avrebbero dovuto studiare le carte che La Torre, qualche giorno prima di morire, voleva affidare loro. Il silenzio dei cinque testimoni e’ durato per 25 anni e continua ancor oggi. Secondo la ricostruzione di alcuni giornalisti, rilanciata con un’intervista anonima in un libro di recente pubblicazione, La Torre voleva mettere a disposizione degli esperti atti riservatissimi, relativi agli strumenti di comunicazione dell’epoca (anni ’70-’80) di boss come Luciano Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano. “L’impalcatura dei pizzini”, che avrebbe forse potuto chiarire – secondo quanto l’esponente politico disse nel corso di una riunione segreta con i professori di area comunista – misteri come la strage di Portella della Ginestra e la “rete di rapporti tra mafia e Stato, che esisteva allora ed esiste anche oggi”. Perchè nessuno degli interessati parlò mai?
Il primo atto che il pool coordinato dai procuratori aggiunti Ignazio De Francisci e Antonio Ingroia compira’, sara’ l’identificazione e l’audizione di uno dei docenti, abitante nella zona di Catania, intervistato dagli autori del libro “Chi ha ucciso Pio La Torre?”, il giornalista Paolo Mondani e l’avvocato Armando Sorrentino, legale di parte civile per conto dell’allora Pds nel processo La Torre. I dibattimenti hanno finora individuato i killer, gli esecutori materiali e i mandanti mafiosi del duplice delitto di piazza Turba. Ma il movente ed eventuali responsabilita’ esterne sono sempre rimasti nell’ombra.