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L’Università a pezzi, nel silenzio generale

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In Italia non è più di moda parlare dei problemi reali. Giro nelle  librerie e guardo i banchi di quei negozi: ci sono sempre trenta romanzi e, se va bene, uno o due saggi. In questo senso i romanzi sembrano la medicina adatta a voltare pagina con i loro personaggi improbabili o poco realistici. Forse anche per questo motivo televisioni e giornali non hanno parlato, la settimana scorsa…

della presentazione al Senato e alla Camera dei primi due decreti attuativi della legge 240 dell’ex ministro Maria Stella Gelmini sull’università relativi al diritto allo studio (n.436) e alle assunzioni dei professori (n.437).

Approvati con i voti del PDL e dell’ex Terzo Polo ormai franato (nel senso che UDC, FLI e altri non riescono più a fare una politica unitaria) i due decreti peggiorano notevolmente la già pessima legge Gelmini e cooperano validamente a due risultati che rischiano di risultare esiziali per la nostra università, giacchè producono un ulteriore blocco del reclutamento e un ulteriore peggioramento delle condizioni generali che riguardano il diritto allo studio e alle possibilità di ricerca. Dopo quel dibattito si è stabilito, peraltro, che il governo Monti dovrà presentare e sottoporre alle assemblee per il voto la versione definitiva del Decreto mentre è stato annunciato che sta per uscire un nuovo decreto ministeriale che sospenderà, non si sa se per sempre o per un certo periodo, le abilitazioni nazionali.

Sulla gravità delle proposte del ministro Profumo (ex professore e rettore del Politecnico di Torino, per chi non sapesse) hanno parlato con chiarezza, in Commissione Cultura, Manuela Ghizzoni e in aula Walter Tocci.
E,  mi pare valga la pena cercare di spiegarlo ai  nostri lettori, vista la cortina di oscurità che ancora una volta i mezzi di comunicazione di massa hanno sparso sulla materia non rendendosi conto forse che qui si parla del futuro del paese e, a nessuno dovrebbe esser consentito di far finta di nulla, di azzerarlo come se fosse un incubo spiacevole  da accantonare.

I punti fondamentali non sono molti. Il primo riguarda previsione del ricambio tra i vecchi che vanno pensione e i giovani destinati a subentrare. La legge vigente prevede le riassunzioni al 50 per cento fino al 31 dicembre 2012 ma il ministro dell’Università ha proposto di scendere al 21 per cento e poi di fronte alle proteste generalizzate di partiti e associazioni di categoria ha parlato del 41 per cento cedendo subito dopo all’intervento del Ministero dell’Economia che ha espresso il proprio diktat al 21 per cento.

Rispetto a quell’intervento il governo ha accettato e, al di là di generiche promesse, a riconsiderare il quoziente, ha mantenuto quel criterio che porterà nei prossimi anni, se mantenuto, al dimezzamento del numero dei professori. Questo significa che i giovani avranno ancora meno possibilità di entrare, dovranno continuare ad andarsene all’estero. Di conseguenza, il nostro sottodimensionamento nella ricerca, che è il problema centrale a livello europeo, crescerà piuttosto che diminuire.

Il ministro Profumo ha affermato anche che i nostri ricercatori hanno una percentuale di successo nei bandi europei di ricerca che è del 9 per cento rispetto al 14 per cento con il quale l’Italia finanzia la ricerca scientifica a livello europeo e perciò ha ulteriormente complicato l’accesso ai bandi ma ha dimenticato di ricordare  che la percentuale di successo dei nostri ricercatori è ottima visto che la quota dei ricercatori italiani è soltanto del 7 per cento rispetto al totale europeo. Non si può quindi dire che ottengano meno successo di quanto potrebbero.

Il secondo aspetto preoccupante del decreto riguarda le procedure per le assunzioni.
Da una parte si bloccano i concorsi nelle università statali e dall’altra si modificano a loro vantaggio le procedure di assunzione nelle università non statali che non hanno il blocco e quindi possono procedere anche oggi e nei prossimi anni. Inoltre, si stabilisce che i vincitori di progetti europei di Firb e prossimamente anche di Prin possono essere chiamati senza concorso e in alcuni casi anche senza abilitazione.

E’ sconcertante che l’attuale ministro non abbia posto limiti al numero dei contratti a chiamata che esisteva come delega nella legge 240 e voglia lasciare mano libera alle università per ricorrere a nomine discrezionali evitando i concorsi. Nulla si è fatto per lo scandalo delle borse di studio che sono di fatto bloccate da molti anni e rappresentano in questo modo un grave inadempimento del centrale dettato costituzionale sulla possibilità per gli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi di raggiungere i più alti gradi nei propri studi.

Insomma, assistiamo da una parte a una grande retorica del governo sui giovani e sul merito ma dall’altra vediamo il riprodursi di vecchie logiche che portano da una parte  all’abbandono degli studi  dei figli delle famiglie meno abbienti e dall’altra alla difficoltà di far crescere la libera ricerca nelle università per la mancanza di risorse e i mille ostacoli burocratici posti a chi vuole studiare e produrre ricerca.

Sarà necessario dopo le prossime elezioni elaborare un programma che ponga i vari rami dell’istruzione al centro della ricostruzione del paese e chiamare giovani e vecchi a collaborare per costruire un sistema moderno e, per quanto possibile, più democratico e meritocratico che autoritario, a governare educazione e ricerca a tutti i livelli. E’ un sogno questo o può diventare un progetto politico per il centro-sinistra?


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