di Roberto Bertoni
Per una volta, probabilmente, ha ragione persino Beppe Grillo: i partiti stanno crollando talmente in fretta, nel consenso e nella credibilità popolare, che nemmeno il suo Movimento riesce più ad intercettare gli umori e le richieste di un elettorato mai così critico e insoddisfatto.
Ricordate il concetto di “società liquida” espresso dal sociologo polacco Zygmut Bauman? Ebbene, mai come ora il mondo è composto per la maggior parte da consumatori, da persone costrette a seguire e ad adeguarsi alle scelte e alle attitudini del gruppo per non sentirsi escluse, per non rimanere isolate in un contesto sempre più frenetico e privo di certezze. Cosa che, naturalmente, causa fenomeni deleteri quali la standardizzazione, l’omologazione, la massificazione dell’essere umano, fino a sfociare nel male assoluto del consumismo: uno dei pilastri dell’attuale disastro economico.
In un simile contesto, è oggettivamente difficile avanzare proposte politiche convincenti, anche perché di frequente si incorre nell’accusa di demagogia, di populismo o, peggio ancora, di essere dei sognatori utopici, privi di qualunque contatto con la realtà; il che, come stiamo vedendo, provoca l’ascesa al potere dei veri demagoghi e populisti, di coloro che si candidano senza un programma concreto e ben definito e senza alcuna idea di cosa fare una volta al potere, di personaggi abituati a contestare e a distruggere anziché a progettare e costruire.
Tuttavia, se vogliono riacquistare un minimo di credibilità ed evitare che la crisi possa condurre al tracollo dell’Italia (e di conseguenza dell’Euro e dell’Europa), senza tralasciare il possibile pericolo di un improvviso sbocco anti-democratico, i partiti hanno il dovere di accettare questa sfida e di affrontare il qualunquismo, gli insulti, i “vaffa”, l’ira della gente e anche l’anti-europeismo che pare essersi impossessato persino di un popolo da sempre europeista come il nostro: insomma, la politica con la P maiuscola, che esiste ed è ben rappresentata, al netto di tutte le falsità che girano in proposito, ha il dovere di immergersi in una vasca di umiltà, di chiedere scusa per gli errori commessi finora, di impegnarsi sul serio a non commetterli di nuovo e di esporre un progetto chiaro, conciso, aperto, progressista (nel caso del centrosinistra, che è quello che c’interessa) o conservatore (nel caso del centrodestra, che non c’interessa a livello elettorale ma che vorremmo comunque vedere finalmente deberlusconizzato nell’interesse del Paese).
La situazione, infatti, non è solo liquida ma assolutamente fluida, nel senso che può accadere di tutto, persino le cose più impensabili fino a qualche mese fa, come ad esempio un’ulteriore avanzata grillina che potrebbe persino consentire al Movimento 5 Stelle di insidiare il Partito Democratico, costringendolo ad un inedito e speriamo irripetibile testa a testa.
Non è un caso se pure un commentatore serio e tutt’altro che ostile alla politica come Curzio Maltese, a Bologna, nel corso de “La Repubblica delle idee” (la festa promossa per la prima volta da “la Repubblica”), si sia lasciato andare ad una simile provocazione: “Io sono disposto a votare anche Zeman, uno dei pochi intellettuali rimasti, purché presenti un programma molto semplice ma chiaro che punti a ridistribuire il reddito, istituire una patrimoniale, potenziare lo stato sociale anziché smantellarlo e fare una vera lotta all’evasione che vada oltre i blitz nelle località di vacanza”.
Il vero problema della riflessione di Maltese è che definirla una provocazione è una forma di autoconsolazione, direi quasi una formula assolutoria che tradisce una certa volontà di minimizzare affermazioni al contrario molto gravi. Difatti, se anche uno come lui, da sempre iper-critico nei confronti di Grillo e di tutti i tribuni che affollano i nostri partiti personali, arriva a dire che bisogna tener conto del pensiero di Zeman, significa che il coinvolgimento della società civile e di mondi anche molto distanti da quello della politica abituale, non è più rinviabile. Meno che mai nel centrosinistra e nel Partito Democratico, accreditati da quasi tutti i commentatori e i sondaggisti come i probabili competitori della prossima tornata elettorale ma comunque bisognosi di un profondo restyling per risultare convincenti e mettere in risalto le buone idee che già cominciano a intravedersi.
Rinunciare al fervore e alla vitalità che si è generata in questi anni intorno allo schieramento progressista sarebbe un suicidio assai peggiore di quello compiuto nel 1994, quando Occhetto commise l’errore imperdonabile di ostentare un eccesso di sicurezza e finì col perdere elezioni che credeva di avere già vinto.
Per fortuna, Bersani pare essersi sintonizzato su una linea d’onda completamente opposta, ad esempio con la proposta di affidare il compito di indicare i due consiglieri del CDA RAI che spetterebbero al PD a quattro associazioni che si sono battute per la libertà d’informazione negli anni bui del berlusconismo (“Se non ora quando?”, “Libera”, “Libertà e Giustizia” e il “Comitato per la libertà e il diritto all’informazione”). Trattandosi in molti casi di cari amici e di persone con le quali noi di Articolo 21 abbiamo condiviso un’infinità di battaglie e di avventure, non ci resta che plaudire a questa scelta.
Ci limitiamo a constatare con piacere quest’apertura, con l’auspicio che non rimanga un gesto isolato e che la politica, anche grazie all’impegno attivo e al valore dei partiti nei quali la maggior parte di noi si riconosce, possa riconquistare il proprio posto, riscoprire la propria missione, tornare a sentire, dopo un lungo inverno, la gioia e la bellezza di ragionare secondo i “pensieri lunghi” di cui parlava Enrico Berlinguer; che possa, dunque, tornare a emozionare e a suscitare speranze, a costruire un futuro migliore e a far sì che tutte queste belle espressioni non rimangano parole.
Stiamo andando nella giusta direzione, lentamente il vuoto si sta colmando e almeno i progressisti sembrano aver imboccato la via giusta in vista delle prossime, cruciali elezioni. L’importante ora è non tornare indietro e non promettere una sola cosa in più di quelle che si possano mantenere, altrimenti il prossimo anno non ce ne sarà per nessuno e i fluidi, come del resto i liquidi, si sa che scorrono inesorabilmente verso il basso.