Correva l’anno 1948: secondo racconti di fonte araba si dice che la popolazione del piccolo villaggio libanese di Hula, al confine con Israele, venne uccisa dalle milizie paramilitari israeliane collegate all’Haganah per aver collaborato con gli eserciti arabi che mossero contro Israele. In quell’eccidio sarebbero morti novanta civili.
Al Hula invece è il villaggio siriano dove pochi giorni fa sono stati uccisi un centinaio di siriani. Gli osservatori dell’Onu hanno certificato il coinvolgimento dell’esercito siriano leale al presidente Bashar al-Assad. E molti sussurrano che la strage sia stata una vendetta, una lezione impartita dal regime alla cittadina: sarebbe di Hula infatti il temerario che avrebbe introdotto nel bunker del regime il veleno impiegato per eliminare il cognato del raìss, Assef Shawkat.
C’è un filo drammatico e sottile che unisce Hula e al-Hula, scrive con coraggio una donna libanese il cui nonno è morto a Hula. Come c’è un filo altrettanto sottile e altrettanto drammatico, sottolinea, che unisce i negazionismi.
Una grande scuola di storici israeliani si è impegnata anni fa in un lavoro commovente: la ricostruzioni dei tragici eventi del ’48. Oggi un’altra scuola, molto diversa, cerca il modo di confondere le acque e coprire i responsabili di al-Hula. Eppure, aggiungiamo noi, tra Hula e al-Hula, c’è stato molto altro, e in questo altro c’è sicuramente Hama, 1982. L’esercito di Hafez al-Assad rase al suolo il centro di quella città insorta, con tutti i suoi abitanti, stimati tra i 20 e i 50mila. Quella strage aspetta ancora una condanna.